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Tutti pazzi per il Napoli. Tutti, tranne Sarri: quando lo vedremo in giacca e cravatta ci preoccuperemo

Tutti pazzi per il Napoli. Tutti, tranne Sarri: quando lo vedremo in giacca e cravatta ci preoccuperemo
Maurizio Sarri

Ora che “il Napoli incanta e vola” e riunisce nell’applauso tutta l’Italia calcistica, fino all’altro ieri irrimediabilmente divisa e pericolosamente sporgente oltre il Garigliano, c’è da essere felici ma anche un tantino preoccupati. Non è il caso di ricorrere alle maniere forti, cioè alle “toccatine” e agli scongiuri, ma, come dire, a pensare male magari si sbaglia ma spesso si indovina.

Il dubbio, obiettivamente carico di una suspence fuori luogo in una serata di grande calcio targato Napoli, è insorto quando Fabio Caressa, prima firma di Sky, si è rivolto a Bergomi confessando di «avere una passionaccia per questo Napoli che gioca il più bel calcio d’Italia» e per Maurizio Sarri che l’ha messo in campo. Che è una affermazione forte e sincera, per carità, alla quale, però, non siamo abituati. Potremmo cavarcela con un generico non è vero ma ci credo, ma non lo facciamo perché la saggezza dello “zio” ha fugato ogni dubbio e ha rimesso le cose a posto azzerando, anche se non del tutto, la quota di pressione sopra le righe che si poteva cogliere nell’affermazione – appropriata e giustificata, peraltro, dallo spettacolo offerto dagli azzurri di molte spanne superiore a quello opaco delle grandi storiche del campionato – del popolare telecronista. Bergomi, al contrario, è abilitato a parlare entusiasticamente di questo Napoli, perché non aveva lesinato apprezzamenti per gli “altri Napoli” targati Mazzarri o Benitez. Anche se, come facciamo tutti, è più prodigo di elogi per la versione sarriana che unisce spettacolo a concretezza, fantasia a strategia e vince facendo spettacolo, ma anche spedendo la palla in tribuna come ha fatto ieri nei dieci minuti della ripresa nei quali i danesi hanno rialzato la cresta piuttosto abbassata dopo la lezione subita nel primo tempo.

Fare spettacolo esaltando tutto il gruppo, però, sembra essere una sorta di “marchio” della banda Sarri. Ne abbiamo avuto conferma in occasione del primo gol di Manolo Gabbiadini che ha concluso con un tocco da attaccante nato per il gol – alla Paolo Rossi, per intenderci – una manovra da manuale del calcio moderno, tre tocchi di prima, tutti in profondità, e un cross perfetto sul quale il puntero ha fatto risaltare le sue qualità: una estirada, un tocco con la suola della scarpetta e il gioco è fatto. A dirlo è facile, a farlo è tutt’altra roba e qui c’è il segno del campione che risponde sul campo a chi lo riteneva escluso dal progetto-Sarri. Lui c’è a pieno titolo, anzi sarà decisivo come ha detto il tecnico masticando l’ennesimo mozzicone. Il secondo gol di Gabbiadini, invece, è stato più bello da vedere, ma è frutto di una prodezza dell’autore, un assolo che non ha richiesto una partecipazione del “coro” azzurro che, ormai, ha ingaggiato anche i tenori delle seconde linee. Ed è pronto, almeno questo è l’intento, anche per i palcoscenici di provincia. (Il riferimento al prossimo impegno contro la rude orchestra del maestro Maran è voluto, non casuale).

Ed ora tiriamo le somme. Fa piacere a tutti che dalle Alpi all’altra estremità dello stivale i giudizi sul Napoli siano positivi e carichi di aspettative per il campionato, ma siamo anche consapevoli della pressione mediatica sulla squadra e sui singoli. E, allora, non ci resta che puntare tutte le fiches sul lavoro di Sarri e sulla sua immagine. Mi spiego meglio: fino a quando il nostro allenatore si presenterà in campo indossando la tuta di ordinanza, un tantinello sbracata, da operaio del calcio concentrato solo sul lavoro, non avremo di che temere. Se, al contrario una domenica dovessimo trovarcelo in campo con giacca e cravatta, beh a quel punto qualche timore diventerebbe legittimo. Ma ci sentiamo di escluderlo: il dna del tecnico innaffiato nel Sebeto e nell’Arno lo pone al riparo dal rischio di cadere in tentazioni divistiche. In tuta e con la mezza sigaretta tra i denti, Sarri richiamerà sempre l’immagine di paron Nereo Rocco buonanima, non quella di Michel Platini. 
Carlo Franco

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