Le due settimane in cui il napoletano si è trasformato in psichiatra, dietologo e preparatore atletico

Doveva essere la fine del mondo e invece per una notte il Napoli è primo in classifica. Conte ha dimostrato di non aver perso il tocco

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Dc Napoli 22/11/2025 - campionato di calcio Serie A / Napoli-Atalanta / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: Alessandro Buongiorno

Un sabato da divorzio, un Napoli risorto.

Eccola lì, la fine del mondo. O almeno la fine della serenità domestica. Sabato sera, ore 20:45. L’orario che manda in frantumi certezze e divani, che mette in crisi le relazioni più solide e trasforma la convivialità in una trincea. Lei che vuole una terrazza al caldo sul mare, lui che non può perdersi neanche un istante di quel sacro rituale che è la partita di pallone. Quindici giorni di processi, di voci maligne, di muscoli offesi e allenatori sulla graticola. Due settimane di veleni a mezzo stampa, con il napoletano medio (e non solo) trasformato in psichiatra, dietologo e preparatore atletico, tutto in uno. E alla fine, cosa succede? La partita, che doveva essere il funerale del Napoli, si trasforma nella sua resurrezione. E che resurrezione. Media tossici a parte, in frantumi persino la noiosa campagna elettorale.

Antonio Conte, il sarto del gol, l’uomo che non arretra di un centimetro, l’ha fatta ancora una volta. Ha preso gli scontenti, gli acciaccati, i “rottami” psicologici e fisici, e li ha ricuciti sul suo modulo preferito, il 3-4-3. E, come d’incanto, la squadra ha fatto pace con il prato. C’era anche Careca in tribuna, e chissà se il suo sorriso sornione non abbia ispirato David Neres il brasiliano che fino a stasera sembrava un fantasma. Quarantacinque minuti, e due reti. Due lampi nel buio, due colpi di magia che hanno spento l’Atalanta e riacceso il Maradona. Un primo tempo da pura follia, con Lang che ha timbrato il cartellino, il primo ed è esploso senza remore.

E poi gli infortuni, veri. La telenovela infinita che ha accompagnato la preparazione della gara. L’ombra del dolore, il sospetto dell’opportunismo. McTominay, il cui talento era stato offeso era stato oggetto di dibattito e fantasiose ricostruzioni, ha risposto con la sua proverbiale garra. Un osso duro, uno di quelli che non si abbatte, uno che la mette sempre sul fisico. E il giovane Gutierrez, catapultato nella mischia in un momento delicatissimo, ha saputo reggere l’urto, dimostrando di non essere lì per caso. Che giocatore.

Il calcio, si sa, è un’arte sottile. E Conte ha dimostrato di non aver perso il tocco ed è tornato alle sue certezze. Il verdetto? Il Napoli è di nuovo primo in classifica. Nonostante tutto. Nonostante gli infortuni, le ferie le dimissioni invocate. E nonostante le serate di sabato, che dovrebbero essere dedicate all’amore e alla famiglia, alla movida e alle cene con il primo freddo, ma che spesso finiscono per essere dedicate a un pallone che rotola e a un tabellone che si accende.

La panchina, così bistrattata durante la telenovela di questi primi mesi di campionato, si è rivelata l’arma segreta, la polizza assicurativa che ha salvato la serata e, forse, la stagione. E il Napoli, di nuovo in testa, può ringraziare, oltre al talento e alla grinta, anche quella lungimiranza che ha permesso di costruire una squadra completa, capace di risorgere in un tempo e di zittire, con una sola partita, quindici giorni di veleni.

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