Maradona, la sua caduta cominciò a Italia 90. Poi, a Usa ’94, fu tradito da un culturista che sbagliò integratore alimentare

Il racconto di Alfredo Relano sul Mundo: "Non si era dopato. Fu un errore di Daniel Cerrini che Signorini non voleva fosse lì”. Al Siviglia andò anche grazie ai soldi di Berlusconi

Maradona

Argentinian soccer team captain Diego Maradona (R) tries to get past Nigerian defender Chidi Nwanu at Foxboro stadium outside Boston during their World Cup game on June 25, 1994. The 15th FIFA World Cup took place in 1994. The United States hosted the event, which was held at nine locations nationwide from June 17 to July 17, 1994. Despite soccer's relative lack of popularity in the host country, the United States was selected, and the competition was the most profitable in World Cup history. (Photo by Timothy A. CLARY / AFP)

Diego Armando Maradona ha cominciato a morire negli Stati Uniti. 1994. Il controllo anti-doping, quel test positivo all’efedrina. L’inizio della fine, a cui Alfredo Relano – uno dei decani del giornalismo sportivo spagnolo – dedica un lungo racconto su El Mundo. Relano ripercorre tutta la storia di Diego, centimetro per centimetro, cadenzando le tappe d’avvicinamento a quella crepa che tutto avrebbe poi frantumato. Una specie di bignami.

“La carriera di Maradona prese una brutta piega dopo i Mondiali del 1990 in Italia. Fu soffocato dalla fervente passione dei tifosi napoletani. La camorra lo trattò come un amico da trofeo, spingendolo sulla strada sbagliata. Dovette affrontare accuse di paternità. E, peggio ancora, pagò il prezzo di un grave errore: prima della semifinale Italia-Argentina a Napoli, chiese il sostegno della città, ricordando che il resto d’Italia li disprezzava. Tutto crollò quando, alla 25ª giornata, risultò positivo alla cocaina, cosa che non sorprese nessuno visto che ne era un consumatore abituale, e ricevette una squalifica di 18 mesi. Addio Napoli, addio Italia”.

“Stabilitosi a Buenos Aires, la polizia fece irruzione nella sua casa, lo trovò in possesso di cocaina, lo arrestò, lo rilasciò su cauzione di 20.000 pesos e gli ordinò di sottoporsi a un programma di disintossicazione. Nel frattempo, la giustizia italiana lo condannò in contumacia a 14 mesi di carcere. Il D10S era diventato materia prima per le pagine di cronaca nera”.

Relano ricorda la squalifica, le pressioni di Blatter (presidente Fifa) affinché il Napoli svendesse il suo cartellino al Siviglia allora allenato da Bilardo.

“Il Siviglia pagò 5,7 milioni di dollari, con l’aiuto di Mediaset, di proprietà di Silvio Berlusconi, in cambio della trasmissione delle partite amichevoli che il Siviglia aveva accettato di disputare. Tornò tra grandi aspettative il 28 settembre 1992, contro il Bayern Monaco”.

Relano racconta il suo passaggio in Spagna, fino alla rottura con il club, quando poi Diego “cedette alla dissolutezza più totale per dispetto”. Racconta anche di come Julio Grondona, presidente della federcalcio argentina, e Coco Basile, l’allora ct della nazionale, “capirono di essere obbligati a riprenderselo” a furor di popolo.

La risalita di Maradona verso Usa 94

Racconta la risalita del Pibe, la preparazione “nella palestra New Age nel quartiere di Belgrano con un culturista di nome Daniel Cerrini che alla fine sarebbe stato la sua rovina”. E di quando “convinse il suo preparatore atletico, Signorini, che lo aveva accompagnato a Napoli ed era stanco della sua incostanza, a lavorare di nuovo insieme, e Signorini trovò un posto appartato a La Pampa, un ranch chiamato El Marito in una zona semidesertica, a circa 70 chilometri da Santa Rosa. Solo il padre del giocatore e il suo agente, Marcos Franchi, li accompagnavano. Signorini pose il veto a Cerrini il mago che lo aveva aiutato a perdere peso prima di firmare per il Newell’s. Maradona accettò. A El Marito, avrebbero lavorato intensamente, immersi nella natura, a partire dal 1° aprile. La cocaina era introvabile. Assunse tranquillanti per combattere i sintomi dell’astinenza, in una feroce battaglia che vinse”.

E poi racconta, appunto, Usa 94: “Arrivò ai Mondiali in condizioni fisiche ottimali per i suoi 33 anni. Al Babson College di Boston, dove la squadra alloggiava, l’argomento di conversazione costante era il “miracolo Maradona”. Forte, agile, di buon umore, senza traccia di dipendenza, brillante… ispirava timore reverenziale. Solo una cosa infastidiva Signorini: insisteva per avere di nuovo Daniel Cerrini al suo fianco, quasi come un portafortuna. Doveva essere accettato. La Federazione argentina ammise un entourage di quattro persone nella delegazione ufficiale di Maradona: Franchi, Signorini, Cerrini e Salvatore Carmando ex massaggiatore del Napoli. La squadra non era solo Maradona; c’erano anche Caniggia, Batistuta, Redondo, Simeone, Cáceres, Ruggeri…”.

Arrivarono le prima partite. La vittoria per 4-0 sulla Grecia con quel grido di gioia di Diego che fece il giro del mondo. Il 2-1 alla Nigeria. e Poi l’antidoping e la celebre infermiera Sue Carpenter che andò prenderlo in campo.

Riprende El Mundo:

Due giorni dopo, la bomba: positivo. Com’era possibile? Signorini e Daniel Bolotnicoff, l’avvocato di Maradona, sospettavano che Cerrini andasse nella sua stanza e gli chiedesse di mostrare loro tutto ciò che gli stava somministrando. Si scoprì che un integratore alimentare chiamato Ripped, che stava assumendo, era terminato, così andò a comprarne altro in una farmacia di Boston. Ma comprò la varietà Fast, non Fuel, come quella che aveva. Le scatole erano molto simili: una con sfondo nero e scritte rosse, l’altra al contrario. Non pensava ci fosse differenza. Tirarono fuori il foglietto illustrativo e videro che la nuova conteneva efedrina. “Prenda il primo aereo il più lontano possibile”, gli dissero.

“Non si era dopato. Fu un errore di Cerrini. Ma il destino lo aveva colpito. Tornò alla cocaina, a una vita caotica; in due anni giocò sette partite, perse la famiglia, fallì come allenatore e morì solo a 60 anni”.

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