Il guardiolismo sta finendo, il ritorno del centravanti ne è un chiaro segnale (Guardian)
Il guru del gioco ha paura di quel che accadrà. Sta sparendo la preferenza per il passaggio rasoterra rispetto al cross profondo

Manchester City's Spanish manager Pep Guardiola smokes a cigar as he attends an event for fans with members of the Manchester City football team following an open-top bus parade through Manchester, north-west England on May 23, 2022, to celebrate winning the 2021-22 Premier League title. Manchester City's latest Premier League title triumph established the champions as a burgeoning dynasty. City's fourth title in five seasons is arguably the greatest achievement of Guardiola's glittering career as he found a way to hold off Liverpool's relentless challenge by one point. (Photo by Oli SCARFF / AFP)
“L’era di Guardiola sta volgendo al termine e il guru del gioco è sconcertato da ciò che accadrà dopo”. Lunga analisi di Jonathan Wilson per The Guardian sul pepismo e su come sta tramontando un modo di vedere il calcio che torna all’antico, all’attaccante da 20 gol.
Innanzitutto l’incipit del pezzo: “Il mondo è devastato, sconosciuto. Il fumo turbina nell’oscurità. Odori nauseabondi eruttano dalla terra sulfurea. Il paesaggio echeggia di ululati, grugniti e grida. Una grande luce si è spenta e tutto ciò che rimane è confusione e paura. Ovunque allenatori e dirigenti, curvi sotto i loro dubbi, corrono qua e là, cercando disperatamente una via d’uscita nella natura selvaggia”. Il problema, secondo Wilson è che siamo in mezzo al guado. Alle spalle il pepismo, il guardiolismo, nel futuro qualcosa di ignoto
Fin dalla sua prima stagione al Barcellona, il modo di giocare a calcio di Pep Guardiola è stato dominante. L’efficacia della sua filosofia era così evidente e così pervasiva che non c’è un allenatore d’élite che non sia stato in qualche modo influenzato dalla sua filosofia, anche se non ne sono, come molti, discepoli dichiarati. Ma mentre l’accettazione pressoché universale dei suoi metodi si frammenta, mentre altre squadre della Premier League si allontanano dal guardiolismo o lo adattano ad approcci basati su contropiedi, azioni inattive, giocatori che corrono con la palla o uno stile di gioco più diretto, il risultato è una profonda incertezza. La fiducia si ritira, lasciando spazio a un deserto di possibilità.
Il ritorno del numero 9 è la fine del guardiolismo?
Questo senso di incertezza può contribuire a spiegare perché questa sia stata un’estate dominata dal valzer degli attaccanti, con tanti club alla ricerca di un classico numero 9, o almeno della sua interpretazione moderna: un giocatore di grande stazza, veloce, tecnicamente abile e capace di gestire i canali, un centravanti completo sul modello di Didier Drogba o Hernán Crespo. (…) Un attaccante che può garantire 20 gol a stagione assicura a una squadra un certo livello di successo. Il calcio non ha mai conosciuto un momento simile prima. Il guardiolismo è probabilmente lo stile di gioco più egemonico che il mondo abbia mai conosciuto. Ha contribuito il fatto che sia arrivato proprio quando le condizioni di fondo erano perfette per il suo stile, con i campi migliorati al punto che i primi tocchi potevano essere dati quasi per scontati, la liberalizzazione della regola del fuorigioco ha aumentato l’area di gioco effettiva e la repressione dei falli duri ha permesso a centrocampisti tecnicamente dotati ma di piccole dimensioni di prosperare.
Il pepismo ha dominato per 15 anni
Per circa 15 anni, il mondo ha accettato che questo fosse il modo più efficace di giocare. Persino il pressing duro della scuola tedesca e lo stile Guardiola, che a un certo punto avrebbero potuto essere ragionevolmente presentati come un modo di giocare basato sul recupero del possesso palla contro uno stile che privilegiava il mantenimento della palla, alla fine hanno trovato un compromesso. Il che solleva uno dei paradossi del guardiolismo, ovvero la sua diversità tale da risultare quasi indefinibile. È possibile individuare alcuni fondamentali: il pressing, la linea alta, l’uso del possesso palla per il controllo, la diffidenza verso il dribbling e i tiri dalla lunga distanza, la preferenza per il passaggio rasoterra rispetto al cross profondo e la paranoia legata all’altezza della linea, circa il pericolo di subire un contropiede.