Tardelli: «Da cameriere ho servito il Napoli di Zoff. Se Boniperti ti chiamava e non ti trovava a casa, ti puniva»
All Gazzetta: «Gli arbitri "juventini"? Sbaglia la Var, figuriamoci gli arbitri allora; con Michelotti ci litigavo sempre. Dopo Argentina e Brasile ho capito che avremmo vinto il Mondiale».

Db Torino 13/05/2014 - finale Europa League / Siviglia-Benfica / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Marco Tardelli
L’ex calciatore Marco Tardelli ha raccontato alla Gazzetta dello Sport alcuni aneddoti sulla sua carriera in Nazionale e alla Juventus.
Tardelli: «Prima si diventava uomini presto, per mantenermi facevo il cameriere. Servii il Napoli di Zoff»
«Sono arrivato nel ’78 in Argentina a pezzi, perché in stagione davo sempre tutto. Non sentivo fiducia attorno a me e parlai chiaro a Bearzot: “Se vuole, mi lasci pure fuori”. Mi guardò dritto: “Non fare il deficiente, Marco. Fai quello che ti dico e giocherai”. Mi rassicurò, era un uomo speciale, di grande cultura, un esempio vivente».
Si sente prigioniero di quell’urlo?
«Quando mai, l’urlo è mio e me lo tengo, mi arrabbio solo quando mi chiedono di rifarlo. E sarà bello farlo vedere ai nipoti: al massimo penseranno di avere un nonno un po’ pazzo».
Era un ragazzino magro come un chiodo quando andò al Pisa per settantamila lire…
«Voleva altri due del San Martino, belli possenti, non me. L’allenatore, Romano Paffi, si oppose: “O prendente Marco o niente”. Credeva in me».
Credeva in questo ragazzino che per mantenersi faceva il cameriere. Altro che social media, procuratori e tatuaggi…
«Difficile farlo capire ai ragazzi di oggi, ma non mi mancava niente, si diventava uomini prima, c’era più rispetto per gli altri. I tatuaggi non mi interessavano».
Un cameriere che servì a tavola Zoff…
«Mi chiamarono fuori stagione. C’era il Napoli di Iuliano, Cané e Zoff. Quando arrivai alla Juve glielo confessai, dandogli del lei, Dino si alzò e lo disse a tutti. Dino è una persona fantastica, io ero timidissimo. Al Como ero in stanza con il capitano Correnti, gli diedi del lei e mi rimproverò: “Non farlo più”».
A Boniperti però dava del lei…
«Mi accolse in ufficio, mi chiese se fossi contento, se stessi bene, qui e là, poi: “Bene, dopo che esci, tagliati i capelli, togli collanina e braccialetto, e poi torna”. La Juve era una scuola, io ero stato educato bene da mio padre, ma la Juve era attentissima».
Le telefonate dell’Avvocato all’alba?
«Tante. Ci era sempre vicino. C’è stato un periodo in cui mi stiravo spesso: dormivo poco, mia figlia era appena nata. Mi manda il suo massaggiatore. Domenica dopo 20 minuti mi stiro di nuovo. Mi chiama. “Mi taglierei la gamba”, rispondo. E lui: “Lo dice a me?”. Zoppicava un po’, che gaffe… A Franco Costa che gli chiedeva se fosse preoccupato per la Juve, rispose: “No, per la gamba di Tardelli”».
Arrivò Platini e non fu facile…
«Eravamo tutti amici di Liam Brady e qualcuno storse il naso perché per lui doveva andar via. Non aveva la puzza al naso, l’abbiamo accolto bene, ci ha aiutato a diventare più grandi, è un amico vero come Boniek».
Boniperti telefonava a casa per controllarvi?
«Uscivamo… ragazze, una birra: niente di male, però se ti beccava erano punizioni. Ma eravamo giovani. E io non ero mai a casa».
Le dava fastidio la storia degli “arbitri juventini”?
«A me no, abbiamo avuto aiuti e cose contro, come tutti. Sbaglia la Var, si figuri gli arbitri allora. Altro che sudditanza. Tutti dicevano che Michelotti fosse juventino? Be’, io ci litigavo sempre, sapevo di esagerare ma avevo voglia di litigare».
Perché ha lasciato la Juve?
«Perché ho capito che era arrivato il momento».
E quando ha capito d’aver vinto il Mondiale?
«Dopo Argentina e Brasile. Non ci fermava più nessuno. Zico era allibito, andava dai compagni per cercare una reazione…».
Cos’ha detto a Rossi dopo i tre gol?
«“Era ora!”. Paolino era ed è mio amico per sempre, lo abbiamo aspettato tutti. Gli davamo la carica anche in allenamento. Gentile, se finiva in squadra con lui, gli diceva: “Anche oggi giochiamo in 10…”».