Non ho più nostalgia di Allegri, Thiago Motta è figlio di Max
La Juve di Thiago e’ allegrismo 2.0, solo gli incompetenti possono definire brutto il suo difensivismo ragionato. L’unica differenza è che Thiago piace alla gente che piace
Juventus' Italian coach Thiago Motta reacts during the Italian Serie A football match between Juventus and Parma, at the Allianz Stadium, in Turin on October 30, 2024. (Photo by Marco BERTORELLO / AFP)
Non rinnego Massimiliano Allegri che ho amato nella buona (il primo ciclo juventino) e nella cattiva sorte (il secondo ciclo con Madama). Non lo rinnego perché continuo ad essere convinto che il conte Max abbia incarnato la tradizione della casa madre e che sia stato demonizzato in maniera violenta e a tratti irrispettosa.
Fatta questa premessa, dichiaro di essermi convertito al mottismo. Non è trasformismo, che a volte non guasta, ma è solo sano realismo.
Ero a San Siro, sabato scorso, in quella che è stata definita la partita più brutta della stagione. Nel tempio del calcio italiano contro un Milan al completo e con una serie di top player o potenziali tali, ho invece riscontrato un’ordine e una compattezza che non vedevo da diverso tempo, forse dai tempi del Max 1.
La Juve di Thiago non rischia, fa del possesso palla la sua arma di difesa, è una squadra attenta e se può colpisce in contropiede grazie al furetto Conceicao. Anche con l’Aston Villa ho visto proprio questa Juve e ammetto che non mi è dispiaciuta. Certo, non si è ancora intravisto il Koopmeiners dell’Atalanta, Douglas Luiz è una figurina o poco più, Nico non sappiamo che fine abbia fatto, Vlahovic alterna lamenti a grandi prestazioni, Adzic paragonato da certuni a Zidane è sempre in infermeria. Motta a differenza di altri ha compreso dove si trova. È una bestemmia dire che il suo difensivismo ragionato è un’evoluzione dell’allegrismo? No. In estrema sintesi, Motta è un Allegri 2.0 che – a differenza di Max – piace alla gente che piace. E che potrebbe piacere anche agli allegriani se gli zero a zero diventassero d’un tratto uno a zero.
di Giuseppe Manzo - La sua conferma è una buona notizia a tanti livelli tra cui il consolidamento della spina dorsale italiana del Napoli dei due scudetti in tre anni
di Giuseppe Alberto Falci - Dietro il 5-2 del City alla Juve. A fine match ha detto: «loro quando vogliono, spendono 100 milioni». Ha ricordato il ristorante da 100 euro
di Massimiliano Gallo - Yamal non ne ha nemmeno 18. Da noi non c'è la competizione, ci sono le graduatorie, stai al tuo posto che a 48 anni avrai la cattedra. La frase è: “Ora attenti a non bruciarlo”
di Giuseppe Manzo - Ndoye è solo l'ultimo esempio. Il Napoli agisce sott'acqua, come ha fatto con De Bruyne. Quando il clamore aumenta, il club si allontana
di Massimiliano Gallo - Gli ascolti tv sono buoni, anche delle partite senza italiane. C'è il ritorno del calcio brasiliano (come negli anni 80), la squadra di Inzaghi. E non siamo ancora nel vivo
di Giuseppe Alberto Falci - A differenza di Theo Hernandez, tanto per fare un esempio. Pogba vuole prendersi la sua rivincita dopo la Juventus e la squalifica per doping
di Fabrizio Bocca - Tu chiamala, se vuoi, denapoletanizzazione. Giornali e tv depurati dall'evidenza dello strapotere sul campo e sul mercato. Si fa quasi come se nulla fosse
di Mario Piccirillo - In conferenza prova di tutto: trasforma le sconfitte in "risultati", urla "il mio gioco" ma resta l'etichetta del sergente di ferro. Poi il capolavoro: "Oggi io Gattuso non lo farei giocare"
di Massimiliano Gallo - Ha dominato comunicativamente la conferenza. Poche parole, mai banali, ha sorvolato con savoir faire su Mancini. Chi doveva capire, ha capito
Non ci crediamo, nemmeno Pinocchio col gatto e la volpe. Sarà la versione per i boccaloni dei tifosi: una tipologia umana che crederebbe pure a Babbo Natale.
di Fabrizio d’Esposito - Il Gattuso a nove code trasformerà Coverciano in una Guantanamo calcistica. A Napoli fu salutato come un liberatore quando sostituì Ancelotti