Al CorSera: «Non aveva accettato la fine della nostra storia. Ho provato la paura. Alla fine lo denunciai, andavo sul set con due carabinieri di scorta».

Il Corriere della Sera intervista Mara Venier. Quest’anno sarà la sua quattordicesima Domenica In.
«Baudo si è fermato a tredici».
Il segreto?
«Sono pop, non trash. Popolare, non volgare. E studio: il sabato sera non esco mai. Resto a casa a preparare la puntata. Se presento un libro, lo leggo fino alle tre del mattino. Quando stavo con Renzo Arbore mi diceva: dai, usciamo. Ma io niente».
Dice che dopo tanti anni si è liberata dell’ossessione degli ascolti, motivo per cui quest’anno affronterà argomenti seri come la violenza sulle donne.
«Io ne so qualcosa. Ho avuto un compagno violento. Molto violento. Mi picchiava. È arrivato a cercare di uccidermi. Mi ha aspettato sotto casa con un coltello. Questa è una cosa che non ho mai raccontato. Sappia solo che ho pagato un prezzo altissimo».
Chi era quest’uomo?
«Uno che non ha accettato la fine della nostra storia. Diceva di amarmi ancora. Ma questo non è amore. Sono uomini che si sentono proprietari del tuo corpo e della tua anima. E ti distruggono. Non soltanto con le botte o con le coltellate. Ti fanno sentire una nullità. Una cosa nelle loro mani. Io ho provato la paura. La paura della violenza fisica, e la paura di sporgere denuncia. Ma ero innamorata, e quando ami non vuoi vedere: l’amore ti porta a giustificare quasi tutto. Fu un grave errore. Alla fine sono stata costretta a denunciare, andavo sul set con due carabinieri di scorta. Ma avrei dovuto interrompere la spirale prima. A lungo è rimasto dentro di me qualcosa di irrisolto: la debolezza, la rabbia, l’incapacità di reagire…».
Ha raccontato nella sua autobiografia la malattia della madre, l’Alzheimer. Per comunicare con lei, ad un certo punto, iniziò a usare le canzoni napoletane. Racconta il dolore alla sua morte. E cosa provò di fronte alle ultime parole che le rivolse sua madre: “Tu hai sempre fatto tutto per bene”.
«Un dolore terribile: sulle prime ho chiesto al dottore di farmi un’iniezione perché volevo seguirla, andarmene con lei. Ma quella frase fu anche una consolazione. Perché mia mamma da bambina non mi ha mai abbracciata; semmai mi prendeva a botte. E ai suoi occhi non avevo sempre fatto tutto per bene».