Se fosse viva, Jane Austen sarebbe tifosa del Torino

Se fosse ancora viva anche Jane Austen sarebbe del Toro. Orgoglio e pregiudizio sono le due rette parallele del calcio moderno che si incontrano nel Toro. L’orgoglio è quello nostro, dei tifosi granata, soprattutto di quelli – come me – che non sono di Torino. È un orgoglio silenzioso, che si ostenta di rado, e […]

Se fosse ancora viva anche Jane Austen sarebbe del Toro. Orgoglio e pregiudizio sono le due rette parallele del calcio moderno che si incontrano nel Toro. L’orgoglio è quello nostro, dei tifosi granata, soprattutto di quelli – come me – che non sono di Torino. È un orgoglio silenzioso, che si ostenta di rado, e oggi è uno di quei giorni. È l’Omega del calcio televisivo contro l’Alfa (Romeo) della #Rubentus, è l’onore della sconfitta immeritata che ti carica di adrenalina come quando alla roulette speri che esca lo 0 e la pallina si accomoda nel 32, come i presunti scudetti della Vecchia che di signora non ha niente.

È la passione antitelevisiva per eccellenza, che prova quasi fastidio quando su Sky o Mediaset straparlano di te e tu quasi ti offendi perché vuoi vedere le immagini e basta, perché quelli non capiscono, come l’altra sera su Canale 5 dopo le partite (chissà perché Mediaset ha scelto la Roma per la partita in chiaro, peggio per loro) sennò non ti spieghi perché sui social del Toro va fortissima la radiocronaca Rai di Giuseppe Bisantis, quelli che la partita non la vuoi vedere perché sennò ci stai male poi accendi un sito pirata a caso e hanno appena segnato gli altri.

La profanazione del San Mames assomiglia alla vittoria alle Termopili di chi sa che il suo sacrificio salverà il mondo, e infatti delle analogie tra l’urlo di Quagliarella e quello di Leonida da oggi Google “se ne cade” come direbbero a Napoli. Onore al popolo basco che ci ha applauditi fino alla fine, onore a una squadra che come noi mette il Dna dell’identità davanti a tutto.

E il pregiudizio? È quello degli “altri”, di chi manda affanculo la squadra alla prima sconfitta, di chi vuole solo vincere, non importa come, di quelli dell’altra sponda del Po, di quelli che salgono sempre sul carro del vincitore, di quelli che l’avevano sempre detto, di quelli che passano da Mussolini a Togliatti a Moro a Fanfani a Craxi a Berlusconi a Renzi come se niente fosse, dei ridolini e delle smorfie che accompagnano la frase “perché sei del Toro se sei di Reggio Calabria” di chi non capisce la religione laica nella quale ho iniziato a credere al 121mo minuto di Torino-Stoccarda, anno del Signore 1979, gol di Ohlicher da fuori che ti caccia dalla Uefa, che a 6 anni e rotti capisci che il destino e la sofferenza aiutano a crescere. Quelli che oggi stanno tutti zitti. Quelli che non se l’aspettavano. Di quelli che, come scrive Corsivigranata (@CorriereG) «ti chiedono per una vita chi te lo faccia fare di essere del #Toro. Poi, di colpo, lo capiscono. E un po’ ti invidiano». Grazie, Bilbao, non sempre vince il torero.
Felice Manti  @felfauman

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