Mourinho ci ha ricordato che siamo un calcio di serie B

Un primo, strano, formicolio ti prende quando Bergomi riferisce che Mourinho si è messo a rincorrere Lucas sulla fascia in un’azione di contropiede del Psg. Poi, di nuovo, quando Blanc si lamenta perché ogni tanto l’uomo di Setubal si affaccia sulla sua panchina per chiacchierare con Makelele. E la memoria torna a quando andò a […]

Un primo, strano, formicolio ti prende quando Bergomi riferisce che Mourinho si è messo a rincorrere Lucas sulla fascia in un’azione di contropiede del Psg. Poi, di nuovo, quando Blanc si lamenta perché ogni tanto l’uomo di Setubal si affaccia sulla sua panchina per chiacchierare con Makelele. E la memoria torna a quando andò a sussurrare all’orecchio di Guardiola dopo l’espulsione di Thiago Motta in quella indimenticabile semifinale col Barcellona. Infine, capisci in quale strapiombo siamo finiti quando lo vedi correre come un folle verso i suoi giocatori dopo il gol del 2-0 del Chelsea. In un momento ti rendi conto che un tempo quelle corse riguardavano anche noi. Quell’adrenalina scorreva anche in casa nostra. Perché Mourinho era casa nostra. Era il calcio italiano. Insomma, il più classico “come eravamo”. E ti prende la nostalgia. La nostalgia di Mourinho. E anche del nostro calcio. Quando sulle nostre panchine si accomodava un certo Carlo Ancelotti che ieri sera col suo Real Madrid (sì, allena il Real Madrid) ha rischiato grosso a Dortmund.

E ti viene tristezza. È un po’ come rimanere nei luoghi di villeggiatura fino alla metà di settembre. Quando quei luoghi ti sembrano spogli. Tristi. Dove c’era José Mourinho, oggi c’è Antonio Conte. Con quella sua voce perennemente roca. Mai ironico. Col cappellino in testa. In battaglia pure lui, come lo era Mou, ma c’è modo e modo di condurre le battaglie. Di stare al mondo. Di vestirsi. Di presentarsi. Ma non è solo Conte, per carità. Di Mazzarri non parliamo, è meglio. Così come di Allegri, fin quando c’è stato. Inizialmente ci aveva pensato Garcia a tenere su il livello. Geniale la sua battuta sulla chiesa e il villaggio. Peccato che poi, col passare del tempo, l’allenatore francese si sia romanizzato. Colpa dell’ambiente. E anche dei giornalisti. Che contribuiscono a inaridire il dibattito.

Va da sé che l’allenatore più internazionale che abbiamo si chiama Rafa Benitez. Spesso bistrattato, incredibilmente, soprattutto a Sky. Un trattamento davvero imbarazzante, imbarazzante per loro. Eppure è sempre a Rafa che Mourinho si riferisce. Sempre. Non ce la fa a tacere. Anche ieri sera lo ha fatto, facendo finta di dimenticare che Benitez raccolse il Chelsea in corsa e a eliminazione dalla Champions già avvenuta. Lo odia. Lo soffre. Non ha ancora digerito quella sconfitta in semifinale di Champions, col suo Chelsea battuto da un gol semi-fantasma ad Anfield Road. Perché il grande cruccio di Mou è non aver vinto la Coppa dei Campioni col suo Chelsea. Non è mai andato oltre le semifinali coi Blues. In finale, in quella maledetta finale in cui Terry scivolò dal dischetto, c’era Grant. E la Coppa, qualche anno dopo, la alzò Di Matteo. Eppure Rafa – da noi eh – è quasi considerato un perdente. Appena arriva qualcuno che prova a farci ampliare gli orizzonti, lo dobbiamo crocifiggere. Perché noi siamo i meglio.

Follie italiane che contribuiscono a farci sentire di serie B. Da tutti i punti di vista. E ieri Mou ce lo ha ricordato in modo impietoso. Con quella corsa, la stessa che fece al Camp Nou col ditino alzato per andare a salutare i tifosi interisti. È riuscito persino nella titanica impresa di rendere simpatico Alessandro Alciato, quando ha candidamente ammesso che inserire due giocatori che si sarebbero poi rivelati poi gli autori dei due gol è culo. Sì, culo. Come disse pirla. Eppure mai volgare. È una qualità che appartiene ai grandi.

Mou ci ha lasciati più soli. Questa è l’amara verità. Il calcio che conta, lo show, possiamo solo ammirarlo dal buco della serratura. Ma l’aspetto più triste è un altro: è che a noi piace così.
Massimiliano Gallo

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