Gonzalo, sangue nostro

Comincia tutto con un tweet di Claudio Botti. C’è la foto delle lacrime del Pipita a fine match e il testo che dice: “Ma Cavani e Mazzarri hanno mai pianto per questa maglia?” Senza nulla togliere all’uomo dei 104 gol e all’allenatore dell’Inter, è vero. Loro ci hanno dato molto, soprattutto el Matador. Ma a […]

Comincia tutto con un tweet di Claudio Botti. C’è la foto delle lacrime del Pipita a fine match e il testo che dice: “Ma Cavani e Mazzarri hanno mai pianto per questa maglia?” Senza nulla togliere all’uomo dei 104 gol e all’allenatore dell’Inter, è vero. Loro ci hanno dato molto, soprattutto el Matador. Ma a ciglio asciutto. Di Cavani io ricordo la rabbia agonistica e una certa incapacità di sorridere. Per carità, viva la rabbia se fa trenta gol all’anno. Però, però non di sola prestazione è fatto il calcio, altrimenti sai che palle.

Lo so, di lacrime nella storia del Napoli ce ne sono state tante, quelle di Cannavaro a Parma nel giorno della retrocessione, e poi Carmignani nel giorno di una papera leggendaria, e poi e poi tante ancora. Ma le lacrime argentine non sono mai disperazione. Sono sempre furore agonistico che non è riuscito a farcela. Sono lacrime asciutte, che non vogliono compassione. Vogliono riscatto. Ve l’aspettavate dal Pipita? Io forse, volevo, speravo, ero dubbioso. Ma c’erano molti che no, non se l’aspettavano.

Qualche amico fraterno me l’aveva battezzato “posillipino”. Con ogni inchino di scuse a chi abita la collina, Claudio incluso, eravamo a un passo, a un passo solo dalla sentenza definitiva di “chiattillo”. Sì, tante qualità: “Nu bello guaglione”, giovane, già affermato corteggiatore – credo che la “vita notturna” di cui parlava in un recente servizio Rai il buon Civoli a questo si riferisse: alla sconvolgente indiscrezione che un giovane atleta di 26 anni, bello, noto e ricco fa l’amore con le ragazze, invece di recitare ogni sera il santo Rosario. Uno scoop travolgente. Ma insomma del Pipita sapevamo un sacco di cose inutili e quasi irritanti per noi tifosi e avevamo il sospetto che fosse il “madridista” che si sentiva un po’ esiliato qui da noi, uno snob, una “signorina tumistufi”.

E soprattutto non avevamo capito qualche pausa, qualche piccola rinuncia (Genova), qualche mancato acuto e soprattutto Dortmund, benedetto Iddio, quando si era fatto fottere (Gallo, si può dire “fatto fottere” sul Napolista?) dalla mano del portiere Weidenfeller a due metri dalla porta. Insomma a me il Pipita piaceva ma stavo pensando pure io: vuoi vedere che questo non tiene sostanza, che si accende e si spegne come una lampadina di Natale?

E poi viene la partita con l’Arsenal. Dove, com’era già successo, collabora con gli altri, si fa il mazzo (Gallo, si può dire “si fa il mazzo” sul Napolista?) ma soprattutto fa un gol che ieri ha fatto il giro di internet e di tutte le reti tv dell’universo mondo – con questi occhi il vostro autore qui l’ha visto sul Primo Canale della televisione russa, che ligia alle loro regole di pronuncia della “h” lo chiama “Ghiguaìn”. No, non solo questo, che pure bastava. Lui si è messo a piangere.

Così facendo, lui “ci” ha presi. Ha preso il Napoli e Napoli. Leader “speciale”, come lo fu Diego, quella volta più che mai, alle 17,45 del 1° maggio 1988. Chi non c’era se lo ricorderà lo stesso, perché le tragedie passano di bocca in bocca senza bisogno di essere raccontate. Lo scudetto perso, prima che nei punti, nel cuore. Quel giorno era crollato tutto, avevamo perso noi stessi e il passato ci aveva ingoiato per opera dei potenti di sempre.

Quel giorno ci salvarono le lacrime di Diego. Io, che pure ero allo stadio, non le avevo viste. Il giorno dopo, in redazione, ancora atterrito, distrutto, sfogliavo quelle che allora erano le “telefoto”, che all’epoca venivano vomitate da una macchina grande come cinquanta computer di adesso. E la telefoto dell’Ansa da Napoli era grigia, sfocata, ma era un primo piano. Diego piangeva mentre tornava nello spogliatoio. Piansi con lui, finalmente, dopo 24 ore di tormento a secco. Lui da allora fu il mio cuore, il mio leader. Più ancora che dopo il 1987. Perché allora avevamo vinto ma eravamo entità separate, mentre le sue lacrime erano le mie.

Da un argentino all’altro, mercoledì è stata la volta di Higuain. Che io vorrei chiamare in un altro modo che Pipita, perché Pipita mi pare irrispettoso, mi fa pensare alla pipì, anche se si riferisce al naso. Del padre, per giunta. Lui mercoledì ha pianto le nostre lacrime, dopo aver segnato un gol che è l’archetipo del centravanti. Adesso guidaci, Gonzalo, ora che Napoli te la sei pigliata. No, non sei posillipino. Secondo me vieni dalla Sanità.
Vittorio Zambardino

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