Così immagino l’anno sabbatico di Walter

«Sono stanco dopo dodici anni di fila in panchina. Sto pensando l’anno prossimo di prendere un anno sabatico ». Così Mazzarri alla stampa. E mi è venuto inmente l’attacco di un pezzo che scrissi qualche anno fa. «Il bandolero è stanco! Questa la frase che Renato Rascel pronuncia nell’ultima scena di un filmetto degli anni […]

«Sono stanco dopo dodici anni di fila in panchina. Sto pensando l’anno prossimo di prendere un anno sabatico ». Così Mazzarri alla stampa. E mi è venuto inmente l’attacco di un pezzo che scrissi qualche anno fa. «Il bandolero è stanco! Questa la frase che Renato Rascel pronuncia nell’ultima scena di un filmetto degli anni ’50. Dal titolo Il bandolero stanco. Credo sconosciuto ai più. Un filmetto che ho visto da bambino. Dopo una serie di frenetiche avventure e parapiglia tra pepite d’oro, inganni ed amori, tutto finisce bene. Come era d’obbligo nell’Italietta degli anni ’50. E il bandolero, buono ed ingenuo, si siede in terra e pronuncia la frase fatidica. Il bandolero è stanco!». Così ho immaginato Mazzarri dopo le dichiarazioni rese alla stampa. E stanotte addirittura lo ho sognato. Rifugiato nel suo paesino natale. San Vincenzo, settemila anime. Ad oziare tutto il santo giorno. Come Antonio protagonista del film I Basilischi. Un piccolo strano paese era San Vincenzo nel mio sogno. Un solo bar. Illuminato da fioche luci. Dove Don Gianni il parroco del paese, Gigi il droghiere, Sossio il farmacista, Pasquale il notaio e Poldo il beccaio giocavano interminabili partite a carte con Walter Mazzarri. Una sola parrocchia. I balconi delle case tutti pieni di fiori che diffondono profumi deliziosi. L’unico legame con il calcio erano i ragazzini di don Gianni. Che giocavano nel campetto parrocchiale accese disfide sette contro sette. Avversari quelli delle parrocchie dei paesi circostanti. Niente parolacce, niente cori irriguardosi. Insomma nulla di più distante da uno stadio. Il toscanaccio dava lezioni di calcio due volte la settimana. Cercava di perfezionare i fondamentali dei ragazzi. Insegnava a colpire di testa. Amarcare. E a smarcarsi. E, qualche volta, li accompagnava nelle trasferte. Ma senza pathos. Le giornate di Walter in definitiva trascorrevano tutte uguali. Senza stress, senza emozioni. Lo vedevo recarsi in piazza a far compere nell’emporio. Il pane, la pasta, l’olio… Poi seduto al bar. A giocare le interminabili partite a carte. Certo talvolta i ricordi facevano capolino. E magari raccontava imprecando «ma come ha fatto Maggio a distrarsi . Accidenti ancora non mi so dare pace». Lo vedevo alle feste di piazza, alle sagre paesane. Lo vedevo alla domenica sul sagrato della chiesa. Poi a pranzo a casa. Il riposino. Niente Sky. Niente interviste. Walter era diventato grande amico del Sorcio. Anche lui tornato da poco a San Vincenzo. Vi si era trasferito qualchemese prima diMazzarri. Capelli ritti ed ispidi. Due incisivi enormi. Un volto piccolo e sottile. Insomma l’aspetto dava ragione del nomignolo. Insieme facevano lunghe passeggiate. Ognuno dei due raccontando di come era prima la sua vita. Il Sorcio in passato commerciava in pellami. Aveva messo da parte una discreta cifra. Con la quale aveva acquistato la casetta a San Vincenzo. Di calcio non capiva nulla. Anzi lo detestava. «Non ho mai visto una partita di calcio in vita mia. E non capisco come si faccia ad appassionarsi guardando quattro giovanotti in mutande che inseguono una palla». Sentendo queste paroleMazzarri divenne paonazzo, si tolse la giacca e… a questo punto mi sono svegliato. Era solo un sogno. ViaWalter, ma chi vuoi che ci creda. Non conosco i motivi che ti hanno spinto a rendere quelle dichiarazioni. E possono essere mille. Magari anche giusti e comprensibili. Però di una cosa sono certo. Non sono state un inno al senso di opportunità. A campionato appena iniziato. Con la squadra al secondo posto. Che senso ha introdurre un elemento di turbativa così pericoloso? Per non dire subdolo.
Guido Trombetti (tratto dal Corriere del Mezzogiorno)

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