Lindsey Vonn: «Il ritiro l’ho vissuto come una morte. Mostro di cosa sono capaci le donne dopo i 40 anni»

Oggi ha vinto a Sankt Mortiz. In settimana a L'Equipe: «Non si può scendere se si ha paura, perché è lì che diventa più pericoloso. Lara Colturi mi ha detto: “Tu conosci mia madre!”

Lindsey Vonn

First-placed US Lindsey Vonn cries on the podium as she celebrates after competing in the women's downhill race during the FIS Alpine Ski World Cup 2025-2026, in St Moritz, south-eastern Switzerland on December 12, 2025. (Photo by Fabrice COFFRINI / AFP)

Lindsey Vonn è tornata. A 41 anni, ha vinto la discesa libera di Sankt Moritz. Un’impresa incredibile. Sul podio si è commossa. A febbraio la aspettano le Olimpiadi di Milano-Cortina. A 41 anni, sedici anni dopo il suo trionfo olimpico in discesa a Vancouver (Canada) e ventiquattro anni dopo i suoi primi Giochi a Salt Lake City (Stati Uniti), la storia sarebbe incredibile. È cresciuta in Minnesota, dove giocava a hockey fin da piccola. «Il 12 febbraio a Cortina sarà il mio ultimo giorno di lavoro». La campionessa dalle 83 vittorie in Coppa del mondo, dai quattro Grandi Globes di cristallo e dai sedici piccoli, è schietta nell’intervista che ha concesso all’Equipe lo scorso 8 dicembre.

Quando ha iniziato a pensare al suo ritorno?
«Poco dopo la mia operazione al ginocchio, che mi è stato parzialmente sostituito. Da quel momento, sapevo che le cose stavano cambiando. Il mio corpo rispondeva in un modo che non conoscevo più da tempo. Ero in grado di giocare a tennis o fare altri sport senza provare dolore, il mio ginocchio non si gonfiava più, potevo piegarlo completamente. Questo mi cambia la vita perché ci pensavo ogni giorno, dalla mia prima operazione ai legamenti crociati anteriori, nel 2013».

Per i campioni, si dice a volte che il ritiro sia come una piccola morte… 
«Sì, l’ho davvero vissuta come una morte. Dovevo fare il lutto. Ero triste, arrabbiata, irritabile… Ma ho capito come uscirne».

Allora perché questo ritorno?
«Primo: non avrei neanche provato a tornare se non avessi pensato di poter essere competitiva. Amo lo sci ma non torno per divertimento. Non sono in vacanza. Non passo sei ore al giorno in palestra per hobby»

«Quindi era per questi Giochi di Cortina… 
«Se i Giochi non fossero stati a Cortina, non sono sicura che avrei tentato questo ritorno. Lì ho ottenuto il mio primo podio, avevo 19 anni (nel gennaio 2004) e ho capito che potevo vincere. La mia carriera è cambiata.

A 41 anni, vuole anche dimostrare che l’età non è un limite?
«Non ero sicura della reazione delle persone, ma è stata estremamente positiva. Soprattutto da parte delle donne. Sono venute a dirmi che erano fiere di me. Mostro di cosa sono capaci le donne dopo i 40 anni».

Che cosa ha imparato dall’inverno scorso, al suo ritorno?
«Che non è cambiato quasi nulla. E non lo dico in senso negativo. Mi sono sentita di nuovo a casa. È come andare in bicicletta. Le gare di sci sono ciò che ho fatto più a lungo nella mia vita, quindi era naturale. E ritrovo molte delle mie avversarie: le italiane come Sofia o Federica Brignone, le mie compagne di squadra come Jackie Wiles e Breezy Johnson, o Lara Gut-Behrami, che ho affrontato per tanti anni».

Ma sono arrivate anche delle giovani. 
«Alcune che avevo incontrato quando erano bambine. Come Allison Mollin (americana di 21 anni), che avevo vista alla firma del mio libro quando aveva 9 o 10 anni. O Lara Colturi (italiana di 19 anni che gareggia per l’Albania), che è venuta a salutarmi dicendomi: “Conosci mia madre!” Io ero tipo: “Oh mio Dio!” È stato così tanti anni fa, gareggiai contro di lei ai Giochi 2002! Beh, è stato un po’ deprimente. (Sorride.) Ma è interessante, perché ho vissuto la stessa cosa all’inizio della mia carriera… Capisco questo scarto generazionale, e ho l’occasione di guidarle».

Lei stessa ha partecipato ai Giochi molto giovane, a 17 anni. 
«Quelli del 2002 sono stati un’esperienza incredibile… È qualcosa di insuperabile. Poi certo, vincere l’oro a Vancouver (2010) è stato fantastico… Per un bambino, come per il grande pubblico, sono le Olimpiadi l’evento che conta, una volta ogni quattro anni. Soprattutto negli Stati Uniti, dove si segue meno il circuito che in Europa».

Come spiega il fatto che, a un certo punto, ha dominato la velocità femminile come se sciasse in un’altra categoria?
«Ero sempre pronta a prendermi tutti i rischi. Ma la velocità è più tattica di quanto la gente immagini… Quando scio al mio meglio, sono al limite ma fluida, e questo è molto difficile da raggiungere».

Questo approccio, senza paura, cambia con l’età?
«No. Non si può scendere se si ha paura, perché è lì che diventa più pericoloso. Se hai paura, devi smettere con la discesa».

Ci sono tanti incidenti gravi in discesa. Si fa abbastanza per la sicurezza?
«C’è molto da fare… La cosa più semplice ed efficace per limitare la velocità è cambiare i tracciati. Non i salti, non il materiale, non le barriere. Se la velocità è eccessiva, è semplicissimo: spostate una porta. Ecco la mia analisi!»

Che cosa sente quando è alla massima velocità?
«Quando sei al limite, esplori sensazioni. Io mi diverto da morire. Più vado veloce, più mi piace… È come un’iniezione di endorfine. Hai il controllo, e nessuno può togliertelo».

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