Kristian Ghedina: «Nessuno mi ha chiamato per le Olimpiadi, ho dovuto compilare il form per fare il tedoforo»
Al Corriere Veneto: «È una ferita professionale ma anche personale: non cerco poltrone, però un minimo di riconoscimento me lo sarei aspettato»

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Kristian Ghedina, il discesista italiano più vincente della Coppa del Mondo, è stato escluso dai ruoli ufficiali di Milano-Cortina 2026. Parteciperà come tedoforo a Bressanone, un’occasione pensata per i suoi figli, partendo da un’iniziativa personale. Ha compilato lui il form sul sito delle Olimpiadi. Parliamo di uno che ha vinto 13 gare di Coppa del Mondo, 33 podi complessivi, due argenti e un bronzo ai Mondiali. Si racconta al Corriere del Veneto
Il palmares di Kristian Ghedina
Alle Olimpiadi Invernali, con sei partecipazioni tra il 1992 e il 2010, il suo miglior risultato è stato un 4° posto in discesa libera a Nagano 1998.
Ghedina, davvero nessuno l’ha cercata?
«Nessuno. E ogni volta che lo racconto, vedo la stessa faccia stupita. Fatico a crederci anch’io. Non sono stato coinvolto in nessun modo. Né come testimonial né per promuovere Cortina, che è casa mia. È una ferita professionale ma anche personale: non cerco poltrone, non mi interessa l’organigramma, però un minimo di riconoscimento me lo sarei aspettato. Ciò che pesa di più è doverlo spiegare continuamente: ho ricevuto tante richieste da imprenditori che volevano presentare progetti. Mi dicevano: ora che tu sei dentro, puoi darci una mano? Io dovevo rispondere che non sapevo nemmeno con chi parlare».
Però sarà uno dei tedofori.
«Sì, ho compilato il form sulla pagina della Fondazione Milano-Cortina e mi hanno assegnato una tappa a Bressanone, dove vivo con la mia famiglia, così i miei figli potranno vedermi passare con la torcia. Sarà un bel ricordo per loro. Ma nessuno mi ha invitato, è partito da me».
Cosa resterà dell’eredità olimpica?
«Alcuni interventi infrastrutturali, fondamentali. Penso alle circonvallazioni tra Tai, Vodo e San Vito di Cadore, cambieranno la viabilità della valle. Speriamo che si prosegua anche per gli altri paesi, non è sostenibile vedere i camion nei centri urbani. Poi ci sono le strade, i parcheggi, la ristrutturazione degli alberghi. E anche sul fronte impianti si torna a investire, oggi servono comodità».
C’è un’Olimpiade a cui ha partecipato che le è rimasta impressa?
«I Giochi del 1998, a Nagano. Ero pronto, anche nei tratti tecnici, per me i più complicati, ma è successa una cosa che non ho mai raccontato. Gli sci buoni, quelli da gara, erano rimasti nella ski room, dove c’erano delle stufette a cherosene. Il cherosene ha impregnato le solette. Risultato? Gli sci non scorrevano. L’abbiamo capito dopo, a danno fatto. Sarebbe potuta andare diversamente. Me lo porto dentro ancora oggi».
Però ha vinto tanto altro.
«Certo, ma lo sci è uno sport duro, non perdona, è millimetrico. Sinner l’ha detto bene: nel tennis puoi recuperare, nello sci no. Se sbagli, sei fuori. E anche quando vinci, c’è qualcosa che potevi fare meglio. Io non ho mai fatto una discesa perfetta. Nemmeno quando ho stravinto in Val Gardena».











