Toh, anche a Los Angeles si festeggia: i Dodgers risollevano una città ferita (ricorda qualcosa)
In 250mila per la parata dei Los Angeles Dodgers, tosi arrampicati su scale e lampioni. Una tifoseria profondamente latino americana in una città compattata dal baseball

LOS ANGELES, CALIFORNIA - NOVEMBER 03: A general view of fans during the Los Angeles Dodgers 2025 World Series Championship parade on November 03, 2025 in Los Angeles, California. Luke Hales/Getty Images/AFP (Photo by Luke Hales / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / Getty Images via AFP)
Erano in 250mila tra il centro di Los Angeles e lo stadio dei Dodgers a tributare il loro affetto alla formazione di baseball che ha vinto e World Series Mlb. Il centro di Los Angeles si è trasformato in un mare di blu e bianco. Migliaia di tifosi da tutto il Sud della California hanno riempito le strade per dare un’occhiata ai campioni del mondo. Lo racconta il Los Angeles Times. I tifosi si sono arrampicati su scale, lampioni e cavalcavia. Hanno occupato ogni balcone lungo il percorso della parata. La speranza era di vedere più da vicino i Dodgers che hanno conquistato il titolo più ambito del baseball. Una formazione di stelle provenienti da tutto il mondo — proprio come la città di immigrati che rappresentano.
Los Angeles Dodgers, una tifoseria profondamente latina
I Dodgers sono da sempre una squadra-simbolo della Los Angeles multiculturale. Secondo Sports Business Journal (2025), oltre il 40% della base di tifosi è di origine latina, mentre alcune stime interne della franchigia, riportate anche da Wikipedia, arrivano a indicare una percentuale del 54% tra i presenti allo stadio. Altri studi, come il blog Muertolandia, stimano la quota latina attorno al 43%, con quasi un quinto dei fan che parla prevalentemente spagnolo.
Questi numeri riflettono la realtà di una città in cui quasi metà della popolazione (47,2%) si identifica come ispanica o latina, con un’ampia maggioranza di discendenza messicana (circa il 32% del totale, dati U.S. Census – Wikipedia). Il legame è storico: la “Fernandomania” degli anni ’80, nata intorno al lanciatore messicano Fernando Valenzuela, cambiò per sempre il pubblico del Dodger Stadium, trasformandolo in un mosaico di bandiere, famiglie e comunità che parlano due lingue ma condividono la stessa passione.
Alcuni erano arrivati prima dell’alba per assicurarsi i posti migliori. Genitori scherzavano sui casi di “influenza Dodgers” che avevano permesso ai figli di saltare la scuola per partecipare a una giornata storica. Gli angeleni, da ogni angolo della città, ballavano e cantavano al ritmo di Kendrick Lamar, Ice Cube, Nate Dogg e naturalmente Randy Newman con “I Love L.A.”
La festa “quasi” tranquilla per la vittoria nel baseball dei Dodgers
La festa, quasi ovunque gioiosa e pacifica, ha conosciuto anche qualche tensione. La polizia di Los Angeles ha segnalato almeno un ferito grave mentre gli agenti cercavano di sgomberare le strade del centro dopo la parata. È stato emesso un ordine di dispersione intorno all’una del pomeriggio, quando alcuni fan si rifiutavano di andarsene: un dj aveva montato l’impianto per suonare musica davanti a circa 700 persone, altri accendevano fuochi d’artificio. Un’auto della California Highway Patrol è stata circondata e danneggiata da alcuni partecipanti. Ma entro le 14:30, la Lapd ha fatto sapere che la maggior parte della folla aveva lasciato l’area e ha ringraziato chi aveva sostenuto i Dodgers “in modo rispettoso e pacifico”. La parata è partita alle 11. A mezzogiorno la squadra era già arrivata allo stadio, dove giocatori e staff hanno ringraziato i tifosi e invocato il tris. “Cosa c’è di meglio di due? Tre! Three-peat! Three-peat!” ha urlato l’allenatore Dave Roberts, scatenando un boato.
Una città che aveva bisogno di risollevarsi
L’entusiasmo non si è spento per tutto il giorno. In calzini blu alti fino al ginocchio, Mark Krojansky si godeva il momento pensando ai suoi figli, “che hanno già visto tre titoli dei Dodgers, mentre io ho dovuto aspettare trent’anni tra l’88 e il 2020. Ma ne è valsa la pena.” “Potrebbe essere l’unica volta per molti anni, chi lo sa. Ce lo meritiamo,” ha aggiunto. Per molti, la vittoria è arrivata in un anno difficile. Gli incendi di gennaio hanno devastato migliaia di case e, in estate, le operazioni di deportazione avviate dall’amministrazione Trump hanno colpito duramente la comunità di Los Angeles. Carlos Soto, residente a San Bernardino, lo ha detto chiaramente: “La città aveva bisogno di questo. È qualcosa che unisce tutti, al di là delle nazionalità e della politica.” Un altro tifoso, Chuck Berez, storico sostenitore dei Dodgers, sintetizzava così lo spirito del momento: “Bisogna resistere alle tempeste e guardare al quadro d’insieme. Questa squadra ha mostrato resilienza ed esperienza.”
E per una città ferita ma viva, proprio come la Napoli che vinceva il primo scudetto del 1987, che trova nello sport la sua lingua comune, quel grido resta sospeso tra i grattacieli e il cielo limpido della California: “Back-to-back, baby!”











