Meier (ex arbitro svizzero): «Il Var doveva rendere il calcio migliore, non lo ha fatto. Ha peggiorato il calcio e gli arbitri»

Alla Faz: «Gli arbitri non corrono più per posizionarsi bene o prendere decisioni immediate. Una volta richiamati al Var, accettano la decisione per quieto vivere»

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Wolves fans display a flag with an anti-VAR message in the crowd ahead of the English Premier League football match between Wolverhampton Wanderers and Luton Town at the Molineux stadium in Wolverhampton, central England on April 27, 2024. (Photo by JUSTIN TALLIS / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 120 images. An additional 40 images may be used in extra time. No video emulation. Social media in-match use limited to 120 images. An additional 40 images may be used in extra time. No use in betting publications, games or single club/league/player publications. /

L’ex arbitro svizzero Urs Meier, 66 anni, che ha diretto oltre 800 partite tra Mondiali, Europei e Champions League, ha rilasciato un’intervista alla Faz in cui ha analizzato il ruolo del Var e il suo impatto sul calcio moderno. Meier, oggi esperto arbitrale indipendente, non usa mezzi termini: secondo lui, la tecnologia ha peggiorato il gioco e reso gli arbitri meno sicuri.

Le parole di Meier

Signor Meier, qual è un chiaro caso di decisione sbagliata?

«Un esempio classico è quello citato dalla Fifa quando sono state introdotte le prove video: la “Mano di Dio” di Maradona, il fallo di mano di Thierry Henry contro l’Irlanda o il gol dell’Inghilterra contro la Germania ai Mondiali del 2010.»

È possibile che una decisione chiaramente errata derivi dal fatto che il Var la esamina per più di cinque minuti?

«No. Se guardi un’azione una o due volte e poi sbagli, ci può stare. Ma il vero problema del Var è che doveva intervenire solo su errori evidenti. Col tempo, però, l’asticella si è abbassata sempre più: ora ci sono tre o quattro revisioni a partita. Se fossi ancora arbitro, comincerei a dubitare di me stesso.»

I controlli lunghi interrompono il gioco e cambiano il ritmo delle partite. Nel tentativo di garantire più equità, si sta forse creando più ingiustizia?

«Sì, e lo dico da tempo. È una pseudo-giustizia. Abbiamo creato altre forme di ingiustizia. Il primo grande esempio fu nella finale dei Mondiali 2018: il fallo di mano di Perisic, chiaramente non intenzionale, divenne rigore solo dopo la revisione video. L’arbitro in campo aveva deciso correttamente.»

Alcuni sostengono che gli arbitri abbiano “dimenticato” come arbitrare senza Var. È d’accordo?

«Sì, ed è vero. È come con i telefoni o i navigatori: più la tecnologia ci aiuta, più perdiamo le nostre capacità. Gli arbitri non corrono più per posizionarsi bene o prendere decisioni immediate. Prima, se un giocatore cadeva in area, decidevi subito: rigore, fallo simulato o si continua. Oggi spesso non si capisce nemmeno se l’arbitro abbia visto l’azione.»

Il Var mette pressione anche sui suoi assistenti?

«Molta. Il video assistant guarda e riguarda l’azione, blocca l’immagine e nota un contatto. Poi manda l’arbitro al monitor. Così si prendono decisioni che l’arbitro in campo, in realtà, non condivide. Chi è in campo, ha una percezione molto più precisa di distanze e intenzioni, cose che in tv non si vedono.»

Molti pensano che quando un arbitro viene chiamato al monitor, cambi decisione nel 99% dei casi. È un processo utile o si potrebbe velocizzare?

«È giusto che l’arbitro possa vedere le immagini, ma spesso sa già che, se non cambia idea, dovrà spiegarsi davanti a milioni di telespettatori. Così preferisce assegnare un rigore per evitare polemiche. Ma è sbagliato: le decisioni vanno prese per chi è allo stadio, non per la tv.»

Si discute di ampliare l’uso del Var anche ai cartellini giallo-rossi. È la direzione giusta?

«No. Basta con queste sciocchezze! (…) La domanda quando è stato introdotto il Var era: renderà il calcio migliore? Ora possiamo rispondere. Le prove video non migliorano il calcio, né lo rendono più equo.»

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