Marotta: «Qualcuno evocava Mourinho per il post-Inzaghi, ma se non avessi avuto coraggio, mi sarei pentito»
«Mi meraviglio che le persone siano sorprese della bravura di Chivu. Il nuovo stadio porta benefici. Noi oggi siamo fanalini di coda. Incassiamo 80 milioni l’anno dai matchday».

Mp Pisa 02/08/2024 - amichevole / Pisa-Inter / foto Matteo Papini/Image Sport nella foto: Giuseppe Marotta
Il presidente dell’Inter Beppe Marotta ha parlato alla Rcs Academy Businness School, soffermandosi sulla sua squadra e sulla scelta di Cristian Chivu come tecnico dopo Simone Inzaghi.
Le parole di Marotta
«Io mi meraviglio che le persone siano sorprese della bravura di Cristian. L’abbiamo scelto perché rappresenta valori importanti, c’è stato il coraggio di andare controcorrente anche a livello mediatico. Qualcuno addirittura evocava Mourinho, che con tutto il rispetto… Se non avessi avuto coraggio, mi sarei pentito».
Marotta ha fatto anche un riferimento al Psg:
«L’equazione non è più ‘se spendo, vinco’, ma va moltiplicata la motivazione per la competenza. Ed è quello che hanno fatto loro, cambiando modello di riferimento: basta nomi enormi, via a investimenti su giovani talenti».
Sul suo passato nella carriera carriera dirigenziale:
«Ricordo che nel 1983 il presidente dell’Inter dell’epoca, Pellegrini, mi chiese di venire come junior manager. Lui però amava occuparsi direttamente della gestione, quindi sono certo che se avessi accettato oggi non sarei presidente. Non serve velocità, bisogna arrivare ai traguardi con calma e saper gestire i momenti».
Una carriera quella di Marotta che raggiunse l’apice con il passaggio dalla Sampdoria alla Juventus:
«Il mio culmine personale l’ho raggiunto alla Juve: avevo quasi 60 anni e una padronanza massima delle mie capacità professionali. Partii da Varese grazie a una circostanza favorevole: abitavo vicino allo stadio. Mi stimolò la passione. Avevo 6-7 anni e assistevo agli allenamenti del Varese che all’epoca giocava in Serie A. Ero la mascotte. Così imparai la negoziazione, parlai con il magazziniere per avere una tuta in cambio di alcuni lavoretti come pulire le scarpe, sgonfiare i palloni, aiutare a lavare gli indumenti. A 18 anni conclusi il liceo classico e ottenni il primo contratto da dirigente, abbandonando un piccolo percorso perché ora ho ricevuto dalla Bicocca una laurea honoris causa, ma non ho potuto laurearmi perché iniziai a lavorare presto. A 19 anni ero direttore del settore giovanile. Era uno sport molto diverso da quello di oggi, in cui ci sono società quotate in borsa. All’epoca erano semplici associazioni sportive con a capo il mecenate, l’imprenditore locale. A Varese c’era Giovanni Borghi, della Ignis elettrodomestici, che per un debito di riconoscenza verso la collettività restituì qualcosa prendendosi a cuore lo sport cittadino. Era una polisportiva, che nel ’68 vinse 5-1 con la Juve e che nel basket ha vinto tutto con Dino Meneghin. […] Io ho appreso molto da Sergio Marchionne, ad di Exor, anche se con la Juventus non c’entrava niente. Lui era fautore della politica del cambiamento. Il leader è coraggioso, perseverante, deve ascoltare».
Infine, su San Siro:
«Per i vecchi romantici, pensare all’abbattimento di San Siro porta amarezza e nostalgia. Ma così non si tiene conto dell’innovazione, che passa anche dal concetto di modernità. Bisogna rispettare i criteri che devono essere presenti all’interno di uno stadio: sicurezza, che non c’è, accoglienza, per poter stare allo stadio tutto il giorno con intrattenimento di ogni genere, e senso di appartenenza. Avere una propria casa. Non era immaginabile una ristrutturazione, e così si è arrivati all’abbattimento. Bisogna farlo per forza. Lo stadio nuovo porta benefici diretti e indiretti, non avere più una cattedrale nel deserto ma un punto di riferimento anche in settimana, dare vita ad attività sociali. Noi oggi siamo fanalini di coda. Incassiamo 80 milioni l’anno dai matchday, l’obiettivo del Real Madrid è superare mezzo miliardo…».











