La crisi tra Conte e il Napoli viene da lontano e ricorda a De Laurentiis che il populismo non paga mai
Lo scudetto arrivò (grazie a Conte) in piena frattura tra tecnico e club, con i calciatori già scontenti. Allegri era sull'uscio ma Adl non se la sentì di andare contro la piazza (che oggi non tollera il tecnico). Il consenso è la patologia del nostro secolo

Mg Napoli 23/05/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Cagliari / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Aurelio De Laurentiis
La crisi tra Conte e il Napoli viene da lontano e ricorda ancora a una volta a De Laurentiis che il populismo non paga mai
Premessa: Aurelio De Laurentiis è un grande presidente, grandissimo. Forse il migliore del calcio italiano attuale. A nostro avviso il migliore della storia del Napoli (con tutto il rispetto per Ferlaino e il suo merito storico di aver ratificato l’arrivo di Maradona in un’operazione politica condotta dalla inarrivabile Democrazia Cristiana). Ma tutti abbiamo un punto debole. E il punto debole del presidente è il consenso. Malattia del secolo, che non ha colpito soltanto lui. È una malattia da cui non si guarisce. Lui l’ha contratta il giorno del terzo scudetto e non c’è vaccino né terapia che tenga. Il consenso è una patologia aggressiva, da cui potremmo far discendere considerazioni socio-filosofiche: di fronte al consenso, persino un padre-padrone non è più realmente proprietario della propria azienda.
Tutto questo per dire che la crisi scoppiata a Napoli tra Conte e i calciatori era più che ampiamente prevista. Nel calcio, come in politica, il vuoto non esiste. Lo scorso anno, il Napoli vinse il campionato in una situazione surreale (e senza Conte mai sarebbe stato vinto). Con la rottura prolungata tra allenatore e società: il tecnico e il presidente si ignorarono per mesi. La cessione di Kvaratskhelia sancì una frattura che non si rimarginò più fino alla fine del campionato. Con i calciatori che si lamentavano un giorno sì e l’altro pure dei metodi del tecnico ma che non osavano alzare la voce perché erano reduci dal disastroso decimo posto e sarebbero stati travolti dai tifosi. Andiamo oltre: praticamente nessuno nel Calcio Napoli sopportava Antonio Conte che aveva blindato Castel Volturno. Nessuno poteva accedere agli allenamenti se non il presidente. Tutti gli altri, fuori.
Aggiungiamo che – nonostante le smentite postume del diretto interessato – il tecnico salentino è stato a un passo dal tornare alla Juventus. Non è andato alla Juve solo perché si è reso conto nel corso di quei mesi che la società bianconera non era più quella che lui aveva frequentato da calciatore e da allenatore. De Laurentiis lo congedò la sera della cena, gli augurò il meglio per la sua carriera. Il presidente non ne poteva più di Conte, da mesi aveva stretto i rapporti con Allegri che era pronto a subentrare. Max era sull’uscio della porta. Era tutto pronto.
La crisi tra Conte e il Napoli, c’erano già tutti i segnali
Ma – attenzione – Allegri era ed è inviso ai tifosi del Napoli. Nessuno in città lo voleva. Il presidente, come tutte le persone di un certo status, vive in una sua dimensione. Nell’euforia post-scudetto (tutto avvenne molto a caldo), cominciò ad accorgersi che tutti volevano Conte e che nessuno avrebbe tollerato Allegri. E si ritrovò di fronte a una situazione più grande persino di lui. Avrebbe dovuto mettersi la piazza festante contro. Dire no all’uomo del quarto scudetto e spiegare ai napoletani che non era il caso di proseguire il rapporto e portare a Napoli l’odiato Max. “Vaste programme”, direbbe qualcuno. Non ce l’ha fatta. Di fronte alla massa festante dei tifosi e a un Conte disposto a restare, il presidente gli ha offerto l’impossibile: aumento e carta bianca sul mercato. Non gliene facciamo una colpa, Conte è un grandissimo allenatore. Ma così sono andati i fatti.
Aggiungiamo che nemmeno i tifosi sopportavano più Conte. Se Pedro avesse sbagliato il rigore in Inter-Lazio, il tecnico salentino sarebbe stato massacrato dalla piazza. Ma i tifosi fanno i tifosi. Vanno dove li porta il risultato. Ci sta. È così. Sono un rimorchio che segue la corrente. Eppure incidono.
Il nodo è che le aziende non andrebbero dirette seguendo il consenso e gli umori del popolo. Ma oggi è impresa impossibile. Non possiamo farne una colpa a De Laurentiis. Possiamo però ricordargli che ogni qual volta ha preso decisioni in accordo con il popolo, ha commesso errori. Quando si è reso impopolare, come ad esempio nell’estate delle cessioni di Insigne, Mertens, Koulibaly, è stato poi premiato dai fatti e ha vinto. Potremmo fare mille altri esempi.
Quindi di questa crisi tutto si può dire tranne che fosse imprevista. Proprio per questo, De Laurentiis e il Calcio Napoli hanno strumenti per affrontarla. Antonio Conte è un pacchetto che va preso così com’è: nel bene e nel male. A nostro avviso il bene supera ampiamente il male. Ora la gestione di questo momento è un percorso di crescita importante anche a livello societario. Il Napoli ha tutto per uscirne.
Concludiamo con un paio di osservazioni. Una è relativa ai calciatori. Alcuni hanno vinto due scudetti in tre anni, è vero. Ma non sono calciatori come Careca, Maradona, Alemao che vinsero anche con Bigon in panchina (ci perdoni Albertino). Loro con allenatori non all’altezza, sono naufragati. Sono bravi ma nessuno dei calciatori è Antonio Conte. E poi ci sarebbero i tifosi, la piazza, che ora rumoreggiano contro l’allenatore. Lo abbiamo detto, è rimorchio. Le aziende sono un’altra cosa.











