Brolin: «Vendo aspirapolveri e sono felice. Sono stato un pokerista professionista»

Alla Gazzetta: «Un inventore mi propose la sua nuova idea di aspirapolvere e con lui aprii un’azienda. Fu la spinta che non mi diede più la voglia di tornare a giocare».

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Screenshot da YouTube.

L’ex calciatore del Parma e della Nazionale svedese Tomas Brolin ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport, dove ha parlato della sua nuova vita da imprenditore e dei ricordi più belli nel calcio.

L’intervista a Tomas Brolin

Che cosa è stato il calcio per lei?

«Un divertimento quando ero un bambino e un lavoro quando sono diventato un po’ più grande. Sicuramente un’avventura indimenticabile, perché ho vinto tanto: con il Parma una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, una Coppa Uefa. Con la Svezia sono arrivato terzo al Mondiale nel 1994. E in quell’anno mi piazzai al quarto posto nella classifica del Pallone d’Oro, dietro a Stoichkov, Roberto Baggio e Paolo Maldini. Mica male, no?».

Una carriera di successo, ma a 28 anni ha detto basta. Perché?

«Ero sinceramente stanco di allenarmi tutti i giorni e mi frullavano altri progetti in testa. Sono sempre stato molto curioso».

Che cosa la incuriosì tanto?

«Un uomo si avvicinò a me. Era un personaggio strano: un inventore. Mi propose la sua nuova idea di aspirapolvere. Ne fui letteralmente attratto e con lui aprii un’azienda. Fu la spinta che non mi diede più la voglia di tornare in campo».

Che cosa le manca di Parma?

«La cucina, le partite a tennis con il mio amico Giampiero Alinovi e i duelli a ping-pong con Gianfranco Zola. Lo battevo spesso. Avevo il tavolo nella mia casa alle porte della città, e passavamo ore e ore a sfidarci. Così è nata una bella amicizia che dura ancora oggi».

Com’è nata la passione per il poker?

«Per caso, ho cominciato a giocare con gli amici di Stoccolma, ci ho preso gusto e, partita dopo partita, sono sbarcato nelle grandi sale dei casinò di Las Vegas. Il Brolin pokerista era tranquillo, come in campo. Potevo avere carte bellissime o carte pessime, ma non lasciavo trasparire nulla dal volto. Cercavo di studiare gli avversari. Il gioco consiste soprattutto in questo. Poi, però, anche questo ambiente mi ha stancato. A volte mi chiedo: non sarò troppo inquieto? Il fatto è che ho sempre bisogno di nuovi stimoli».

Mai pensato di tornare nel calcio?

«Mai. Lo seguo, guardo le partite che mi interessano, osservo i calciatori, non perdo un impegno del Parma, perché quel club mi è rimasto nel cuore, ma non posso dire che non vivrei senza il calcio. Sarebbe una bugia e io mi considero una persona onesta. Il calcio è bello, sia giocarlo, sia viverlo da spettatore, però quel tempo è ormai passato».

Il suo istante più bello da calciatore?

«Il primo gol che segnai in Serie A, a Bari, azione da calcio d’angolo. Saltai con ottimo tempismo. E io sono alto soltanto un metro e settantacinque centimetri. Anche in questo ci vedo la stranezza e la bellezza della vita, capace di sorprenderti in ogni momento. È per questo che voglio ricercare sempre nuove esperienze, e così dribblo la noia. Oggi vendo aspirapolveri e sono felice, domani chissà…».

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