I campioni del tennis evitano il Queen’s per il regime fiscale britannico svantaggioso agli sportivi non residenti (As)
Nel 2011 Rafael Nadal spiegò di evitare il torneo di Queen’s per motivi fiscali: giocare nel Regno Unito significa pagare tasse non solo sul montepremi, ma anche su una parte delle sponsorizzazioni mondiali.

Spain's Carlos Alcaraz (R) and Spain's Rafael Nadal (L) speak while they play against Argentina's Maximo Gonzalez and Argentina's Andres Molteni during their men's doubles first round tennis match on Court Philippe-Chatrier at the Roland-Garros Stadium at the Paris 2024 Olympic Games, in Paris on July 27, 2024. (Photo by Martin BERNETTI / AFP)
As ha approfondito il mondo del tennis spiegando che i tennisti professionisti affrontano un peso fiscale ben più pesante di quanto possa apparire quando partecipano a tornei nel Regno Unito, come Queen’s e Wimbledon.
Nel 2011, Rafael Nadal sorprese il mondo del tennis con una dichiarazione insolita: «Perdo soldi se gioco nel Regno Unito». Il campione maiorchino, che aveva appena rinunciato a partecipare al torneo del Queen’s per optare per quello di Halle in Germania, spiegò la sua scelta non per motivi sportivi o fisici, ma fiscali.
Come funziona la tassazione per i tennisti al Queen’s
Tutti si chiedevano come potesse un tennista del calibro di Nadal rimetterci partecipando a un torneo prestigioso di categoria ATP 500, con un ricco montepremi e ottima preparazione in vista di Wimbledon. La risposta sta nel sistema fiscale britannico, tra i più rigidi al mondo per quanto riguarda gli sportivi non residenti.
Come spiegò Rafael Nadal nel 2011: «Il problema non sono i soldi per giocare. È che il fisco britannico prende una percentuale anche dai miei sponsor: da Babolat, Nike e Richard Mille. È troppo. Ho giocato a lungo nel Regno Unito, ma diventa sempre più complicato.»
Il sistema britannico considera non solo le partite giocate, ma ogni giorno trascorso nel Regno Unito: dalle sessioni di allenamento agli eventi con i media e gli sponsor. Per un tennista con un portafoglio di sponsor vasto e redditizio, l’impatto può diventare significativo, a maggior ragione se si aggiungono le spese per staff tecnico, fisioterapisti, viaggi e hotel che raramente vengono del tutto compensate.
Non stupisce, quindi, che i tre giganti della racchetta degli ultimi 20 anni abbiano spesso evitato il torneo di Queen’s, nonostante si tratti del miglior campo in vista di Wimbledon. Roger Federer ha disputato Queen’s solo nel lontano 1999, prima di firmare un accordo a vita con Halle, in Germania. Novak Djokovic, invece, ha partecipato a Londra nel 2007, 2008, 2010 e 2018, ma ha disertato l’evento negli ultimi sette anni. Lo stesso Nadal, vincitore a Queen’s nel 2008, non è più tornato dopo il 2015.
Un problema che va oltre il Queen’s
Negli ultimi giorni si è discusso anche della tassazione dei premi vinti da Carlos Alcaraz dopo il trionfo al Roland Garros. Alcuni media hanno parlato di un’imposta del 46% da versare al fisco spagnolo sui 2,5 milioni incassati a Parigi. Il tennista danese Holger Rune, però, ha subito smentito: «Paghiamo le tasse nel Paese in cui giochiamo, ma possiamo detrarre le spese professionali.»
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Dichiarazioni che confermano quanto sia complesso il sistema fiscale per gli sportivi di alto livello e quanto ogni torneo debba essere valutato non solo in base alla superficie di gioco, ma anche alla pressione fiscale che comporta.