Folli le critiche a Conte dopo il Genoa ma rendono il senso della straordinaria stagione del Napoli
Non si possono non riconoscere gli enormi meriti dell’allenatore. E il primo a saperlo è De Laurentiis che per ingaggiarlo ha stravolto la sua politica aziendale.

Ci Napoli 11/05/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Genoa / foto Carmelo Imbesi/Image Sport nella foto: Antonio Conte
Folli le critiche a Conte dopo il Genoa ma ma rendono il senso della straordinaria stagione del Napoli
Napoli ha vissuto l’ennesima settimana assurda. Possiamo anche dire folle. Settimana che ha messo in chiaro, per l’ennesima volta, come mai vincere in piazze come Napoli e Roma sia molto ma molto più complesso rispetto ad altre città storicamente abituate come Torino e Milano. È un altro sport.
Premettendo che il corpaccione della tifoseria si è mostrato decisamente più maturo dell’opinione pubblica, abbiamo assistito con sgomento al festival di critiche e rancore che si è sollevato dopo il 2-2 con il Genoa. È stato detto di tutto a proposito della sostituzione Raspadori-Billing, sostituzione peraltro logica col tentativo di guadagnare centimetri visto che gli unici pericoli il Genoa li aveva costruiti sulle palle alte. Poi, come ha spiegato Conte in conferenza stampa, è sopraggiunto l’imponderabile che poi è la formula segreta del successo del calcio. Senza l’imponderabile, il football non godrebbe del seguito di cui gode. E l’imponderabile si è materializzato proprio con Billing che ha commesso un errore su quel cross, un doppio errore visto che ha anche ostruito la visuale a Olivera. Ne ha approfittato Vasquez che si trovava lì perché aveva intercettato un passaggio sbagliato se non ricordiamo male di McTominay.
Tutto questo ha scatenato la discreta fetta di tifosi del Napoli che mal digeriscono Conte e soprattutto il suo gioco. Quei tifosi del Napoli – purtroppo non pochi – che non solo non sanno nemmeno dove sta di casa lo sport agonistico ma che sono rimasti ai principi circensi magnificamente illustrati anni addietro da Massimiliano Allegri. La piaga dell’estetica applicata al calcio è purtroppo un bubbone che a Napoli non è più estirpabile. A tutto questo va aggiunto il rancore mai sopito (anzi) nei confronti del portiere Alex Meret.
È paradossale ma forse sarebbe più corretto dire è stupefacente che queste badilate di livore sono state scaricate mentre il Napoli è ancora in testa alla classifica e a due giornate dalla fine, in pienissima lotta per la conquista dello scudetto. Questa stagione non la si vuole definire miracolo? Come già detto, chiamatela Terpandro. Ma è semplicemente folle non guardare in faccia la realtà e non riconoscere al tecnico leccese gli enormi meriti di una situazione che solo in pochissimi avrebbero ipotizzato ad agosto. Il dibattito “miracolo sì miracolo no” è fuorviante, così come il giochino della bilancia De Laurentiis-Conte: se uno sale, l’altro scende. Non è così.
È fuorviante il giochino Conte-De Laurentiis
De Laurentiis, lo abbiamo detto in ogni salsa, ha avuto il grande merito di aver stravolto il proprio modo di gestire l’impresa Calcio Napoli. Di aver capito che il precipizio era ormai a pochi metri. E di aver applicato il comandamento americano “when in trouble, go big”. Quando hai un problema, quando sei messo male, vai all’attacco, ribalta tutto, rilancia. E così ha fatto. Ha ribaltato tutto. Ha ingaggiato il miglior allenatore al mondo per squadre finite in sala rianimazione. Lo ha pagato tantissimo. Gli ha concesso anche lo staff extra-large. Ha accettato tutte le sue condizioni. E ha messo a segno anche una campagna acquisti da 150 milioni (che si è concretizzata solo nel finale di mercato ma si è concretizzata) senza incassare niente. Non lo ha fatto per Conte. Lo ha fatto per sé. Per la sua azienda. A gennaio ha poi incassato 75 milioni per Kvaratskhelia al Psg. Un presidente è bravo ed efficace anche se si eclissa. Anzi, forse lo è ancora di più. Ma questo è un passaggio che forse l’ottimo De Laurentiis non ha ancora interiorizzato.
Detto questo, è innegabile che l’anima di questo Napoli sia Antonio Conte. È lui che ha creduto dalla prima giornata (sì anche a Verona) di poter vivere una stagione del genere. È lui che ha consentito al Napoli di accumulare punti e quindi autostima nel girone d’andata. Ha ricostruito un gruppo che sì aveva vinto lo scudetto due anni prima ma che poi si era sfasciato. È innegabile. Abbiamo dovuto sentire di tutto. Che Conte era juventino (sigh). Che il Napoli giocava e gioca male (sigh). Che la squadra era la stessa dello scudetto (triplo sigh con avvitamento). Stroppole a gò-gò. Dovute in parte all’essere juventino di Conte, in parte alla malattia dell’estetica calcistica. Molto, ripetiamo, alla completa assenza di nozioni elementari di sport agonistico. Chiamala, se vuoi, ignoranza.
Tutto questo è esploso dopo il 2-2 col Genoa. Quando l’opinione pubblica e una parte della città hanno visto in pericolo la festa, il bus scoperto e tutto quel corredo di inutili amenità che riempiono la bocca a tanti. La verità è che senza Conte in panchina, il campionato del Napoli sarebbe finito da un pezzo. E il primo a saperlo è De Laurentiis che ha accettato tutte le condizioni proprio perché consapevole di aver portato a casa il miglior di tutti nelle condizioni di emergenza.
Consapevoli che se lo scudetto dovesse sfuggire, Conte sarebbe incredibilmente massacrato (ma alle follie della piazza siamo abituati, qualsiasi citazione del passato sarebbe inutile), concludiamo scrivendo che il Napoli inteso come presidente, allenatore, calciatori e dirigenti, così come il corpaccione della tifoseria (quelli di stadio, non quelli da tastiera) sono decisamente più avanti dell’opinione pubblica locale che invece è da cortile.