Inter-Barcellona è storia del calcio, ma è anche la morte della difesa. L’Inter becca contropiede sul 2-1, Yamal che al 92esimo tira invece di perdere tempo alla bandierina

Bella, bellissima, partita strepitosa, ma Mourinho sul 2-0 avrebbe elevato un muro con il superbonus al 110%
Al minuto 56 l’Inter sta vincendo 2-1 sul Barcellona. Poco più di mezzora e sei in finale di Champions. Calcio d’angolo per l’Inter. In area vanno a saltare in sette. Uno batte l’angolo. Altri due galleggiano appena fuori l’area di rigore. In dieci, l’Inter attacca in dieci. Il Barcellona intercetta la palla – può succedere, eh – e scatta il contropiede tre contro due. I due sono l’arcigno Mkhitaryan e il povero Dumfries che fa 60 metri in 5″17 (con un metro di vento a sfavore, nuovo primato stagionale) nel tentativo di metterci una toppa. Inopinatamente il Barcellona non segna. Per un combinato disposto: un po’ Eric Garcia colpisce Sommer, un po’ Sommer è in serata miracolistica.
Nel frattempo, in Turchia, José Mourinho sradica la tv 66 pollici dal tinello e la lancia di sotto. Poi va a sfogarsi nella sua “rage room”, la stanza che ha appositamente predisposto con i poster dell’arbitro Taylor. I vicini chiamano la polizia. Perché Mou, in vantaggio 2-1 sul Barcellona, a mezzora dalla finale di Champions, davanti alla porta di Sommer avrebbe costruito un muraglione di cemento armato e aperto anche la pratica per il superbonus 110%. Lui come l’intera scuola dei tecnici presocratici, i catenacciari d’un tempo che fu, e qualche resistente vecchio allenatore di Eccellenza campana in tutone acrilico. Non è un’ipotesi. Mourinho l’ha già fatto, col Barcellona, era una semifinale di Champions pure quella. Ma era un altro calcio.
Inter-Barcellona è stata una partita epica, non c’è dubbio. Straordinariamente divertente. Scritta da sceneggiatori strafatti di metanfetamine. Ma è stata anche – o anche per questo – una pirotecnica commemorazione della difesa defunta. Del concetto stesso di argine, in senso tecnico, fisico e mentale. Filosofico, persino. Ciò che infatti è seguito a quel contropiede è sì storia del calcio, ma anche una vicenda di abbandono agli istinti, uno snuff movie tattico.
Il Barcellona è abile a trovare il pareggio a difesa dell’Inter schierata (ma chi s’è perso Olmo sul cross?). E all’88’ ad approfittare della ennesima palla persa in uscita della squadra di Inzaghi. Perché buttarla in tribuna, a 2 minuti più recupero dal traguardo, per il grande calcio europeo è reato penale, comprendiamo.
Ma ora fate uno sforzo: indossate i panni umidi di sudore del tifoso medio del Barcellona. Uno comunque abituato ad un calcio pornografico, già rotto più o meno a tutto. Al 92′ la palla è tra i piedi di Lamine Yamal, ovvero dentro una cassetta di sicurezza all’interno di caveau incassato in un sarcofago nucleare. Yamal viene dalla cantera, gli mancano evidentemente le basi del calcio ignorante. E quindi Yamal non pensa di andarsi a rintanare vicino la bandierina. Né qualcuno glielo suggerisce. Far scorrere il tempo, la melina, sono mezzucci disonorevoli. Quindi Yamal punta la porta, l’uomo, tira. Peraltro – essendo lui Yamal – colpisce il palo.
Non è un caso, allora, se pochi secondi dopo la premiata ditta Thuram-Dumfries confeziona un assist basso in mezzo all’area per il centravanti. E non è un caso che il centravanti, nell’occasione, sia Francesco Acerbi. In un universo parallelo dominato da un qualunque allenatore di una qualsiasi Real Barrese quei secondi sarebbero occupati da Yamal che si fa prendere a calci vicino ad una bandierina, dall’altro lato del campo. Bruciando inesorabili e preziosissimi attimi. E invece no: il Barcellona prende gol al 93′. Da Acerbi. Provateci: mettetevi nei panni di un tifoso del Barcellona. Quanti anni di costosissima psicanalisi servono per elaborare un lutto del genere?
Manca una parola, al racconto di una serata straordinaria: difesa. Morta in sacrificio per noi e la nostra fame di “grande bellezza”. Una prece.