Il Times indaga il rapporto tra ghostwriter e autore. La giornalista Sally Jenkins: «Non ero una complice consapevole, lui mi sembrava aperto, sincero»

«Nessuno si dopa ed è onesto». Disse Lance Armstrong alla telecamera in “Lance”, il documentario Disney+ registrato cinque anni fa. «L’unico modo in cui puoi doparti ed essere onesto”, dice, “è se nessuno te lo chiede mai. Nel momento in cui qualcuno te lo chiede, menti».
Il Times celebra i 25 anni della grande bugia di Lance, ossia i 25 anni dell’uscita del pluripremiato libro (“It’s not about the bike”) sul ciclista che aveva sconfitto il cancro e vinto in maniera pulita il Tour de France.
Oggi il Times lo definisce una sorta di volume storico che documenta uno dei più grandi inganni dello sport.
“Una delle menzogne più sfacciate del libro è quando Armstrong usa la sua guarigione dal cancro come prova per sostenere che non si sarebbe mai potuto dopare. Dopo la chemio, l’idea di introdurre qualcosa di estraneo nel mio corpo era particolarmente ripugnante». Sta dicendo ai vostri lettori: dovete credermi perché ho avuto il cancro“.
Il ruolo della ghost writer nella biografia di Armstrong
Il quotidiano inglese intervista Sally Jenkins una giornalista molto stimata che Armstrong scelse come ghostwriter per scrivere il libro.
Il punto è : come si sente l’autrice di un libro pluripremiato sapendo di aver scritto suo malgrado un cumulo di bugie?
Il Times chiarisce che
lei non era una complice consapevole della bugia. Lo sappiamo perché, alla fine del 2012, quando Armstrong non poté più impedire che la verità venisse completamente svelata, Jenkins scrisse un articolo sul Post su come, pur essendo stata ingannata anche lei da lui, non riuscisse a trovare dentro di sé la forza di provare rabbia nei suoi confronti“.
Leggi anche: Lance Armstrong: «Ho perso cinque o sei dei miei rivali a causa di droghe o alcol. Io ho sempre lottato»
Jenkins: “Era aperto sul doping e gli ho creduto”
Owen Slot, l’autore dell’articolo sul Times, l’ha incontrata. «Credo che la gente volesse che fossi arrabbiata con lui, che lo attaccassi. Ma io provavo sentimenti complessi, ero più frustrata che arrabbiata».
Il Times prova a indagare il rapporto tra ghostwriter e autore.
“Da un lato, Armstrong ha reclutato Jenkins come collaboratore inconsapevole ma esperto della sua rete di bugie e questo somiglia a un livello di inganno ai limiti del criminale. D’altra parte, un ghostwriter è un aiutante pagato, un facilitatore, un mercenario; il contenuto non è di proprietà del ghostwriter, ma dell’autore“. Le cose si complicano quando “la storia che hai raccontato – la storia di Armstrong – è sostanzialmente falsa“.
Armstrong nel Tour del 99 risultò positivo ai corticosteroidi ma sfuggì alla squalifica perché le autorità si bevvero la sua spiegazione che era per le ferite da sella.
Lei dice:
«Gli ho certamente chiesto del doping in modo diretto», spiega Jenkins. «Gli dissi: ‘Devi affrontarlo di petto’. Lui era rilassato. Mi disse: ‘Spara pure. Chiedimi qualsiasi cosa’. Uno dei motivi per cui gli ho creduto per così tanto tempo è stato perché sembrava così aperto al riguardo». Eppure nessuna indignazione. «So badare a me stessa. Gli ho creduto per molto tempo, più a lungo di quanto mi sarebbe stato utile, ma sono responsabile della mia figura professionale, proprio come lui».