ilNapolista

Riccardo Scirea: «Quando arrivò la notizia di papà era come se non ci volessi credere, al punto da fare finta di nulla»

Alla Gazzetta: «Al ritorno dall’Heysel furono settimane molto dure. Dormiva poco, videro scene strazianti anche negli spogliatoi. Non volevano giocare»

Riccardo Scirea: «Quando arrivò la notizia di papà era come se non ci volessi credere, al punto da fare finta di nulla»
Bildnummer: 04906382 Datum: 29.06.1982 Copyright: imago/WEREK Nationaltrainer Enzo Bearzot (2.v.li.) und Gaetano Scirea (beide Italien) - Schlussjubel; Vdia, quer Nationaltrainer, Trainer Jubel WM 1982, L‰nderspiel, Nationalteam Barcelona Freude, Fuflball WM Herren Mannschaft Gruppenbild optimistisch Randmotiv Personen Image number 04906382 date 29 06 1982 Copyright imago WEREK National coach Enzo Bearzot 2 v left and Gaetano Scirea both Italy Final cheering Vdia horizontal National coach team manager cheering World Cup 1982 international match National team Barcelona happiness Football World Cup men Team Group photo optimistic Rand motive Human Beings

Gaetano Scirea morì un tragico incidente in Polonia il 3 settembre 1989. La notizia della sua scomparsa arrivò nelle case degli italiani per voce di Sandro Ciotti, alla Domenica Sportiva: «Scusate, dobbiamo interrompere per una ragione veramente tremenda: è morto Gaetano Scirea». Il figlio dodicenne di Scirea era con i nonni, qualche minuto prima era squillato il telefono:

«Ci avvisarono così. Anche io poi mi misi davanti alla televisione. Mamma era da Anna Zoff: si sarebbero visti tutti insieme a Torino, papà di rientro dalla Polonia con il volo in arrivo alle 21 e Dino con la squadra di ritorno da Verona dove la Juve aveva vinto 4-1. All’inizio, e per un po’ di tempo, era come se non ci volessi credere: un dolore così forte che lo rifiuti. Al punto da fare finta di nulla. Poi io e mamma ci siamo fatti forza anche per rispondere alla tantissime manifestazioni d’affetto. E in seguito ho cercato di trasmettere l’esempio di papà ai miei figli», a raccontarlo è proprio Riccardo Scirea alla Gazzetta dello Sport.

Leggi anche: Tardelli contro Chiellini: «L’odio crea odio, da Zoff e Scirea ho imparato il rispetto per gli avversari»

Riccardo Scirea: ««Al ritorno dall’Heysel dormiva poco»

Chi era Gaetano Scirea?
«Una persona normale che faceva un lavoro particolare e non si è mai messo su un piedistallo. Un capitano: sapeva come comportarsi. Un uomo che ha vissuto nella semplicità. Un calciatore che preferiva tirare la maglia piuttosto che fare un fallaccio. Ecco perché lo hanno sempre rispettato tutti».

Si è mai sentito “costretto” a essere alla sua altezza?
«Non ci ho mai pensato troppo. Ho provato a giocare senza preoccuparmi dei paragoni. E ho trovato la mia strada, sempre nel calcio. Sono contento e orgoglioso di quello che sto facendo come match analyst e spero lo sia pure lui».

Un suo tratto caratteriale che ancora adesso la lascia a bocca aperta?
«La tranquillità. Era molto sereno, disponibile. Scherzavamo, giocavamo a calcio in casa e spaccavamo tutto: mamma si incavolava. Me lo sarei voluto godere di più: se n’è andato quando io avevo l’età in cui un figlio gioca tanto con il papà».

Tre flashback. L’assist per Tardelli al Bernabeu nella finale del Mondiale. Più orgoglioso da figlio o ammirato da match analyst?
«Ho visto tante sue partite: senza voler fare paragoni tra epoche diverse, quella qualità tecnica e quei tocchi di palla li vedo raramente. L’azione al Bernabeu è bellissima: guardi il tempo che sceglie per passare a Tardelli. Papà sapeva sempre quando e dove salire. Creava la superiorità numerica. Ha personalizzato il ruolo di libero come aveva fatto Beckenbauer, sfruttando i suoi inizi da mezzala».

Le parole al microfono all’Heysel, il 29 maggio 1985: «La partita si giocherà. Restate calmi, giochiamo per voi».
«Io ero piccolo. Mamma mi raccontò che furono settimane molto dure. Tornato a casa, dormiva poco. Fu un’esperienza traumatizzante. Videro scene strazianti anche negli spogliatoi. Non volevano giocare».

La Juve è parte della sua famiglia?
«Certo, è normale. Ho sempre assaporato l’ambiente, lo spogliatoio, lo stile, il modo di pensare, la juventinità. Il senso di responsabilità. Continuo a imparare e spero di aver dato qualcosa: sono match analyst dal 2008, credo di essermi meritato la fiducia. I miei tre figli (Gabriele di 13 anni, Edoardo di 11 e Gregorio di 5) vengono allo stadio, giocano a calcio, riguardano i gol del nonno. Cerco di insegnare i valori dello sport».

Ha qualche cimelio di papà Gaetano?
«Ho un guardaroba solo per le maglie utilizzate da lui o scambiate, anche in Nazionale. Le scarpe del Mondiale 1982, bucate davanti: erano rotte, ma non volle cambiarle. E poi c’è il pallone dei due gol che fece al Catania nel 1984 con la sua firma e una dedica di mamma: “Il Pelé bianco segna una doppietta”. Conservo tantissime cose. Ero davvero piccolo quando lui morì. Vedevo tutti i miei amici che giocavano con i loro papà. Mi mancava. Mi manca».

ilnapolista © riproduzione riservata