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Conte deve augurarsi che ai titolari non venga mai un raffreddore (Gazzetta)

Rafa Marin, Juan Jesus, Mazzocchi, lo spento Spinazzola, i volenterosi Ngonge e Folorunsho possono tutt’al più giocare quindici minuti

Conte deve augurarsi che ai titolari non venga mai un raffreddore (Gazzetta)
Ni Castel di Sangro 28/07/2024 - amichevole / Napoli-Egnatia / foto Nicola Ianuale/Image Sport nella foto: Michael Folorunsho

Conte deve augurarsi che ai titolari non venga mai un raffreddore (Gazzetta)

Il Napoli è impegnato solo in serie A, ma su quanti giocatori davvero intercambiabili può fare affidamento? Difficile contarne più di 13, forse 14. Il che significa che Conte deve augurarsi che a questi giocatori non venga mai neanche un raffreddore. Alla squadra titolare infatti aggiungiamo Gilmour come vice Lobotka e Neres come vice Kvara. Già pensando a Simeone come vice Lukaku ci rendiamo conto della netta differenza tra i due.

Il tecnico sta provando un nuovo ruolo con Raspadori

Un discorso a parte merita Raspadori, che ha qualità tecniche ma non può essere un caso che giocasse poco sia con Spalletti prima, sia con Conte adesso. Contro la Lazio è stato provato da mezzala come vice McTominay: Conte ci sta lavorando da un po’ per capire se l’ex Sassuolo può ricoprire quella posizione in campo, nel suo progetto di avere due giocatori per ruolo. Operazione, per ora, se non fallita almeno rimandata.

Tutti gli altri, dalla coppia di difensori centrali Marin-Juan Jesus a Mazzocchi, dallo spento Spinazzola ai volenterosi Ngonge e Folorunsho, possono far rifiatare i titolari negli ultimi 15 minuti o giocare una gara ogni tanto se necessario. Ma se nello scacchiere titolare ne entrano più di un paio, la qualità cala così come la redditività degli schemi di una squadra che oggi ha nei meccanismi di gioco e nella perfetta copertura degli spazi uno dei punti di forza.  

La pagella di Conte sul Napolista (a cura di Fabrizio d’Esposito)

CONTE. Per certi versi stasera ha compiuto un capolavoro di realismo riformista e darwiniano, come mai nessuno a Napoli. Davanti a sé, il dittatore in panca aveva due opzioni. La prima, banale e rassicurante, era mescolare titolari e diversamente titolari. La seconda, più coraggiosa, era valutare (verbo ripetuto almeno tre volte nel dopo-partita) tutti i giocatori a disposizione per poter continuare a costruire. E lui ha scelto la seconda ché la Coppa Italia è l’unica occasione per testare e valutare, appunto. Così, ancora una volta, ha messo la rosa davanti allo specchio per consentire a tutti di vedere quello che lui vede ogni giorno in allenamento. E guai a dubitare, almeno da queste parti, del contismo, che stasera ha dimostrato di essere una religione, non un’ideologia. Non a caso Aldo Cazzullo, nell’intervista napolista a Giuseppe Alberto Falci, lo ha definito un monaco guerriero. Un templare, aggiungiamo qui, che cerca il suo Santo Graal con una fatica intensa e a volte sovrumana. Il nostro atavico anti-juventismo poggia da sempre su due pilastri: i soldi degli Agnelli e la sudditanza degli arbitri. Tutto giusto e talvolta vero. Ma Conte, che a Torino di scudetti ne ha vinti tre, ci sta spiegando che la cultura della vittoria è un percorso lungo e mai scontato. Per lustri ci siamo raccontati la favola, anzi la palla che uno scudetto a Napoli o a Roma ne vale venti della Juve. Conte ce la sta smontando giorno dopo giorno, persino schierando undici riserve agli ottavi di Coppa Italia. Solo un visionario pragmatico può fare questo – 8

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