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Sinner e quel complesso punto d’incontro tra i trogloditi del calcio e gli snob del tennis

La reazione calcistica all’errore arbitrale ha riportato alla memoria la Roma e l’arbitro Frisk. Nel racconto giornalistico l’amore per il tennis riuscirà a resistere alla faziosità?

Sinner e quel complesso punto d’incontro tra i trogloditi del calcio e gli snob del tennis
Umpire Aurelie Tourte gestures during the women's singles final tennis match between Kazakhstan's Elena Rybakina and Tunisia's Ons Jabeur on the thirteenth day of the 2022 Wimbledon Championships at The All England Tennis Club in Wimbledon, southwest London, on July 9, 2022. (Photo by SEBASTIEN BOZON / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE

Settembre 2004, Champions League. La Roma gioca la prima partita contro la Dinamo Kiev, all’Olimpico. L’arbitro è lo svedese Frisk già ritenuto colpevole, due anni prima, di una direzione di gara anti-giallorossa nel match contro il Galatasaray. Frisk si rende protagonista di un arbitraggio mediocre e che sembra permissivo con gli ospiti e tremendamente fiscale, al limite del punitivo, con Totti e compagni. Finisce il primo tempo, si va verso gli spogliatoi e Frisk viene colpito in fronte da una monetina. La Roma avrà la partita persa a tavolino. Ma, soprattutto, nei giorni successivi il quotidiano romano Il Messaggero spedì uno o due inviati (la memoria non ci sorregge perfettamente) in Svezia per scandagliare nel passato e nel presente dell’arbitro “che odiava la Roma”. Uno di quei memorabili accessi di provincialismo di cui la capitale è maestra. Pagina indimeenticabile del giornalismo di casa nostra. Illuminante sul rapporto tra tifoseria del calcio e arbitri. Potremmo proseguire scrivendo libri. Da Byron Moreno fino all’arbitro dello scorso Napoli-Milan di Champions League che in città è unanimemente ritenuto la longa manus della Uefa per segare le ambizioni continentali del Napoli di Spalletti.

L’episodio di Frisk ci è tornato in mente perché in questi giorni sui media hanno fatto capolino la foto, le generalità e qualche notiziola di Aurelie Tourte l’arbitra dell’incontro tra Sinner e Tsitispas. La colpevole dell’errore che ha impedito a Sinner di andare 4-1 al terzo con servizio a disposizione. Errore singolare perché il tennis ha l’aura di essere uno sport quasi del tutto tecnologizzato. E in realtà l’occhio di falco (il Var tennistico) sulla terra rossa ancora non c’è. Perché sulla terra rossa resta il segno. Il servizio era fuori, abbastanza fuori, ma lei non se n’è accorta. Né Sinner ha avuto il coraggio di fermarsi e farlo notare. Probabilmente perché al momento dell’impatto neanche lui aveva la sicurezza che la palla fosse effettivamente fuori. Se si fosse fermato e la palla invece era buona, logicamente avrebbe perso il punto.

La foto e i boxini sulla signora Tourte sono stati una novità pressoché assoluta nella narrazione tennistica. Più esposta di lei era stata solo la giudice di linea che agli Us Open 2020 venne colpita al collo da Djokovic, gesto che costò la squalifica immediata del serbo che dovette abbandonare partita e torneo. Eppure la storia del tennis è ovviamente zeppa di errori arbitrali e di contestazioni. Però, ad esempio, nessuno conosce il nome dell’arbitro della finale di Davis dell’80 tra Italia e Cecoslovacchia, il signore che fece finta di non vedere il doppio rimbalzo che fece la pallina di Panatta prima che Smid la prendesse. O, ancora, nessuno conosce il nome dell’arbitro della semifinale Italia-Francia, arbitro che non chiamò fuori una palla di Boetsch e Adriano – nel frattempo diventato capitano – andò a scuotergli il sediolone sotto lo sguardo di un impietrito Noah. Bene o male, nel tennis finisce lì. E, sia chiaro, è vero solo in parte che sia uno sport improntato alla correttezza. In teoria sì. Così ti insegnano. Ma poi valli a giocare i tornei amatoriali e lì, soprattutto nei momenti caldi, conviene sempre giocare almeno cinque centimetri prima delle linee. (Ci vorrebbe qui una parentesi su John McEnroe ma sarebbe una parentesi talmente ampia che preferiamo evitare.)

Tutto questo per dire che nel frattempo, da Panatta a Sinner, tante cose sono cambiate. Il tennis è tornato uno sport di massa e stavolta la massa sono i social. Se cinquant’anni fa il clima da calcio si respirava solo al Foro Italico quando giocava Adriano (sia Solomon sia Higueras abbandonarono il campo, ricordiamolo), oggi il Foro Italico è dentro casa nostra, è ovunque: su Facebook, su X, su Instagram, su WhatsApp. Senza dimenticare che oggi la terzietà è considerata una barzelletta. Non parliamo della sportività. Oggi in un amen passiamo dall’essere esperti di tennis a grandi conoscitori di balistica.

La reazione italiana all’errore dell’arbitra è stata di stampo calcistico. E, particolare interessante, i calciofili si sono pure offesi.

Tommaso Labate, giornalista del Corriere della Sera e non solo, ha scritto su Faceebook:

C’è un po’ di gente che segue il tennis infastidita dalle masse trascinate al tennis da Sinner. Dicono che noi plebe, con “i vostri commenti da calcio”, siamo entrati con le scarpe sporche, che stavano meglio quando erano in tre a seguire Canè&Nargiso. Solo una mia impressione?

Emanuele Atturo, de l’Ultimo Uomo, che non possiamo certo etichettare come calciofilo perché il tennis lo segue da sempre, lo conosce, ha pubblicato un libro su Federer, su X ha scritto: “sopporto poco questo desiderio del pubblico del tennis di sentirsi moralmente superiore”.

Quasi si torna alla versione di Giorgio Gaber uomo che più di ogni altro ha confinato il tennis alla porzione borghese e con la puzza sotto il naso dello sport. Ammesso, e non concesso per Gaber, che il tennis possa essere considerato sport. Probabilmente, come detto, il punto non è solo l’invasione dei trogloditi del pallone. Il punto è che tutto è diventato fazioso ed esagerato come i costumi del calcio italiano (ma anche della politica, dei conflitti internazionali) richiedono. C’è un altro tweet che ci ha colpito ed è quello de Lo Slalom il luogo del racconto sportivo creato da Angelo Carotenuto. Lo Slalom è sceso meritoriamente in campo in difesa di Elena Pero telecronista di tennis per Sky Sport.

Ci siamo così abituati al racconto dello sport fazioso e nazionalista, che si leggono critiche alle telecronache di Elena Pero, colpevole di raccontare il tennis e non questo nuovo sport in cui esiste tutto solo in funzione di Sinner. Elena Pero. La numero uno.

E in effetti Elena Pero è un panda delle telecronache, andrebbe protetta dal Wwf. Alla partigianeria fa prevalere, crediamo che le venga naturale, l’amore per la disciplina, quindi per i bei colpi, per i recuperi sensazionali. Peraltro sempre nel segno di una innata sobrietà. Un errore banale provoca in lei sincera delusione, anche se è opera dell’avversario di Sinner o di qualsiasi altro italiano. Roba da licenziamento immediato. Difficilmente una sua frase diventerà la colonna sonora di un’impresa sportiva. E oggi sembra imperdonabile (anche Guido Meda, che è uno che si esalta, grida, mette al primo posto mette l’amore per la disciplina, pure se Marquez sorpassa Bagnaia: è questo il punto). Lei, Elena Pero, non è Adani né Caressa. Né mai lo sarà. Proprio perché pare che tutto debba essere raccontato con la metrica del pallone. Una metrica cui ci siamo talmente abituati da non fare nemmeno più caso al fatto che tre errori tre di Donnarumma nella partita tra Psg e Barcellona vengano televisivamente relegati a non notizia. Mentre in Francia, tanto per fare un esempio, da giorni se ne discute animatamente. Ovviamente.

Forse il punto è anche questo. Perché a noi Giampiero Galeazzi – l’uomo che ha introdotto la partigianeria nel racconto sportivo, anche nel tennis – piaceva, ci faceva ridere. I fratelli Abbagnale gli devono tantissimo. Ma proprio tanto. Lo sappiamo, Clerici e Tommasi (la Cassazione, hanno lasciato un vuoto incolmabile) inorridivano per le sue telecronache, soprattutto per quel Bum Bum appiccicato a Becker che a loro dire non rendeva giustizia alla classe sopraffina del tedesco. Ma Bisteccone funzionava. E teneva in piedi il tennis italiano e l’audience quando eravamo aggrappati a Cané e Camporese. Tempi molto duri. Ma, soprattutto, Bisteccone non avrebbe mai nascosto le tre papere di Gigione Donnarumma. Mai.

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