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Diventare allenatori in Italia non è meritocratico: il caso Floris

Floris frequenta il corso grazie a una sort di wild-card della Figc. È un sistema chiuso che premia solo la conoscenza e/o l’essere stato in quel sistema

Diventare allenatori in Italia non è meritocratico: il caso Floris
Mc Roma 23/01/2023 - red carpet film ‘Il Primo Giorno della Mia Vita’ / foto Mario Cartelli/Image nella foto: Giovanni Floris
Diventare allenatori in Italia non è meritocratico: il caso Floris

Diventare allenatori in Italia non è meritocratico. Non lo è a più livelli, che sia nel dilettantismo o nel professionismo poco cambia. Diverse problematiche, ma sempre lo stesso pensiero: se hai lo sponsor o sei dentro quel mondo, hai molte più probabilità di avere la chances per giocarti le tue carte. Prendete i calciatori italiani che hanno vinto il mondiale nel 2006. Per via del trofeo conquistato hanno avuto il diritto di saltare tutta la trafila dei patentini ed iscriversi direttamente al corso Uefa Pro, il massimo riconoscimento per allenatore ai massimi livello del calcio italiano ed europeo.
Attenzione, non vuol dire che la rete di conoscenze creata per vie traverse o lungo l’arco di una carriera sia un male, sia chiaro. Sono comprensibili quei club che affidano la panchina ad ex calciatori freschi di patentino piuttosto che a un emerito sconosciuto con i medesimi titoli di patentino. Il nocciolo della questione è che gli emeriti sconosciuti la possibilità di ottenere i titoli necessari per allenare ad alti livelli difficilmente la hanno. Colpa di requisiti che non premiano il percorso accademico.
Provare per credere la sezione “Scuola Allenatori” del sito della Figc. Fino alla Licenza B (Corso non più in erogazione), ottenibile tramite il conseguimento combinato delle Licenze C e D, il percorso sarebbe anche senza requisiti di sorta. Il problema è che i corsi sono a numero chiuso e per la selezione conta il background. Essere calciatore anche di medio basso livello conta nel punteggio delle graduatorie di ingresso.
Qui si inserisce la vicenda Giovanni Floris, stimato giornalista di LA7. Il conduttore di DiMartedì non ha mai negato la sua passione per il calcio e il suo sogno mai accantonato di fare l’allenatore. Tra lui e il suo sogno c’era fino a poco tempo fa l’ostacolo del background, che può incidere in una graduatoria agguerrita e rendere potenzialmente vani i titoli di studio. Da qualche giorno si è scoperto che Floris parteciperà al corso organizzato dalla sezione laziale dell’Aiac, valevole per l’ottenimento della Licenza D. Questa licenza permetterà a Floris, nel caso di superamento dell’esame, di allenare nei campionati dall’Eccellenza alla Terza Categoria (maschile) e fino alla Serie C femminile.
Se vi state chiedendo, come sia stato possibile per Floris eludere il problema del “background”, sappiate che il presidente federale ha X posti (qualcuno dice 5, ma è un particolare che noi non abbiamo potuto confermare), che può assegnare a suo piacimento. Non è un escamotage, ma è un altro tassello alla scarsa meritocrazia nella formazione degli allenatori del futuro oltre che un’opacità discrezionale in mano ad un singolo uomo, senza alcun controllo di forma o sostanza.
Ci teniamo a precisare che la riflessione non è contro Giovanni Floris (che comunque manterrà un piede in due scarpe, facendo il giornalista), ma contro un sistema chiuso che premia SOLO la conoscenza e/o l’essere stato in quel sistema. E chi è fuori da questo mondo e non ha conoscenze? Auguri!
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