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Balbo: «L’Inter mi rifiutò, non superai la prova grafologica della moglie del presidente Pellegrini»

A La Stampa: «Al mio posto presero Pancev. Maradona non era amato dalla politica del calcio, a Usa 94 l’Argentina nemmeno fece ricorso»

Balbo: «L’Inter mi rifiutò, non superai la prova grafologica della moglie del presidente Pellegrini»
1997 archivio Storico Image Sport / Roma / Abel Balbo / foto Aic/Image Sport

Balbo: «L’Inter mi rifiutò, non superai la prova grafologica della moglie del presidente Pellegrini». La Stampa intervista Abel Balbo attaccante argentino degli anni Novanta che ha giocato all’Udinese, alla Roma, al Parma.

Conosceva Udine?
«Macché, la cercai sul mappamondo. Ero intimorito, avevo 23 anni e mia moglie Lucila Ines, la persona più importante per il successo della mia carriera, appena 18, ma la città ci adottò. La signora delle pulizie è stata una mamma, ancora oggi siamo legatissimi. La Serie A al tempo era il top, mi dissero che se avessi fatto 10 gol sarebbe stato un miracolo: arrivai a
11, ma l’Udinese retrocesse».

Rimase…
«Il club non ascoltò le offerte e io ero felice. Risalimmo al secondo tentativo, il primo anno non bastarono i 21 gol con cui diventai capocannoniere. E tornati in A ne feci 21, come Baggio: davanti solo Signori».

La chiamò l’Inter.
«Cenai a casa Pellegrini con Mariottini, diventato intanto dirigente nerazzurro, e trovammo l’accordo su tutto. Alla fine mi chiesero di autografare un foglio e seppi dopo che serviva per l’esame grafologico della moglie del presidente. Non lo
superai, scelsero Pancev e io divenni il primo acquisto di Sensi alla Roma. Da quel giorno ho cambiato firma».

Ricordi di Mazzone?
«Bravissimo sul piano tattico, burbero solo in apparenza, schietto: dopo una sconfitta con la Cremonese, nello spogliatoio, mi urlò davanti a tutti “Datte na svejata”»

Il primo Mondiale senza Maradona, cui era molto legato.
«Andarci d’accordo era facile, non faceva pesare mai chi era. Ripenso ancora con amarezza all’epilogo, all’esclusione per doping da Usa 94: troppe ombre, un caso analogo quattro anni prima s’era risolto con un turno di squalifica, la nostra Federazione nemmeno fece ricorso. La verità è che la politica del calcio non lo amava».

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