A Repubblica: «La più grande difficoltà è sapere che per migliorare devi andare incontro a delle sconfitte. Quante cavolate sulla Coppa Davis»

Vagnozzi vita da coach: «Non posso essere il miglior amico di Sinner»
Simone Vagnozzi, coach di Sinner, intervistato da Repubblica.
Il clan è affiatato e blindato. Ci racconta i rapporti interni?
Vagnozzi: «Premetto che, avendo già lavorato con il preparatore atletico Umberto Ferrara, un certo metodo di lavoro era già consolidato. Poi, come allenatore, penso sia importante trovare le giuste distanze: non devi essere troppo vicino al giocatore — perché poi diventa difficile poter dire certe cose — ma nemmeno troppo lontano. Quindi, come in tutte le cose, l’equilibrio è la parte fondamentale. Non posso essere il migliore amico di Jannik, devo essere uno che gli vuole bene, che vuole che tutto vada per il verso giusto. Poi, alla fine, potrei essere io quello che sbaglia. Sono una sorta di zio? Lo zio giovane, al massimo».
Qual è la vera difficoltà di allenare un fenomeno così?
«La racconto così: quando sono entrato in scena ero convinto che Jannik avesse bisogno di tempo per migliorare degli aspetti. Per carità, giocava benissimo, era già un grandissimo giocatore: numero nove del mondo. Ma per me non era ancora pronto per fare la sua parte: era difficile che potesse avere continuità perché c’era da migliorare tanto, sia fisicamente che tecnicamente. Oltre alla tattica… Ed eccoci alla domanda: tu, coach, devi migliorare tutti questi aspetti: come fai? Devi rischiare, consapevole di dover garantire un minimo di risultati a un tennista che è nove del mondo, anche mandandolo incontro alle sconfitte. Questa è stata la vera, grande, difficoltà».
Non ci dimentichiamo della Coppa Davis.
«Onestamente non ci aspettavamo quell’euforia generale, al nostro ritorno in Italia. È stata bellissima quella gioia. Ha fatto dimenticare tutti quei cavolo di discorsi sulla convocazione, l’italianità e la non italianità… ma lasciamo stare. Tra noi, nello staff, non ho mai sentito, ripeto mai, la sensazione che Jannik non avesse a cuore l’Italia. Di sicuro, avesse giocato a Bologna, non sarebbe arrivato poi così a Malaga, non in quelle condizioni: a volte bisogna prendersi anche dei rischi».