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Erri De Luca e il suo “A schiovere, vocabolario napoletano di effetti personali”

Il libro che raccoglie la sua rubrica sul Corriere del Mezzogiorno: 101 parole che De Luca prende dalla sua infanzia e prima giovinezza napoletana

Erri De Luca e il suo “A schiovere, vocabolario napoletano di effetti personali”

Chi – già dolorosamente vintage – ha l’abitudine di celebrare la preghiera del mattino dell’acquisto del quotidiano cartaceo sa già di una rubrica – ‘A schiovere’ – che lo scrittore Erri De Luca tiene sul Cormezz, in cui il nostro raccoglie parole napoletane per rammentarne a noi partenopei – e disvelarle alle exterae gentes – il significato di espressioni che fanno una cultura ed un modo di vivere. Ora questi lemmi vengono recepiti nel libro “A schiovere, Vocabolario napoletano di effetti personali – (pagg. 224, euro 19; Feltrinelli)”: ma lo scrittore – che si definisce ‘da Napoli’ – avverte che non sono voci di dizionario perché mancano i toni “che decidevano del significato, tragico o ironico, benevolo o ingiurioso, completato da mosse di accompagnamento”.

E giù 101 parole che De Luca prende dalla sua infanzia e prima giovinezza napoletana: prima del suo exitus dalla città senza mare in cui ritorna spesso, “ma per chi parte non c’è terra di ritorno (”Non ora, non qui”; Feltrinelli)”.

Ma se la terra è un insieme di esperienze che danno vita a parole dialettali che mentre ci sovvengono creano una cultura dialettica senza infingimenti, allora De Luca in questa terra ci sguazza felice ed identitario. Parole come Allucco, ammappuciato, Arèto, e la desueta Arrassusia, trovano una propria personale definizione, insieme a locuzioni come ‘A copp’ abbascio.  All’intrasatto, Pe’ tramente, Per’ ‘e vruoccolo, Perchipétola e papurchio.

Erri De Luca riesce a coglierne significati propri – ed altri mediati – accedendo al linguaggio della memoria personale, familiare e collettiva: sempre avvertendo il lettore della indeterminatezza dell’espressività di ognuna, lasciata come spesso accade a Napoli alla situazione sostanziale ed alla voce personale dell’orante di turno. La formula di quest’incantesimo che sono le parole dialettali di un popolo emigrante come quello partenopeo? È quella che in un suo racconto – “Requiem per il campanaro (l’ancora del mediterraneo)” –  sintetizzava un napoletano di adozione – emigrante di guerra – come Gustaw Herling “nessuno può competere con la creatività del popolo”.

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