Conchita Martínez: «Giocavo immaginando che il muro fosse Navratilova. Così l’ho battuta a Wimbledon»
Su El Mundo l'intervista alla campionessa spagnola: "Giovavo per piacere, vincevo per me stessa. Mi piaceva la creatività, i colpi diversi e le angolazioni impossibili"

Conchita Martínez nel 1994 è diventata la seconda spagnola della storia a vincere a Wimbledon. E’ stata per tanto tempo l’altra faccia di Arantxa Sánchez Vicario. Dicevano che fosse “mentalmente fragile”. “Se fosse vero non avrei vinto tutto quello che ho vinto… non avrei vinto niente”, dice adesso Conchita a El Mundo, che l’ha intervistata.
Aveva un gran dritto, Conchita. “In parte innato, ma se smetti di lavorarci e di perfezionarlo, non vale molto. La ripetizione è vitale nel tennis, è ciò che ti dà la certezza di poterti fidare completamente di quel colpo quando si tratta di chiudere le partite. Il talento aiuta, ma senza lavoro è inutile. Riesci a vincere 33 tornei e ti sembrano pochi?”
“Credo che quello ho raggiunto non viene valorizzato, è nata l’idea che avrei dovuto ottenere di più. Di fronte a questo, l’unica cosa che puoi fare è concentrarti, credere in te stesso, circondarti di una buona squadra di persone che credono anche in te e basta. Posso dirti che ho fatto del mio meglio e, a volte, non era quello che la gente percepiva. A volte è stato frustrante. Quando un atleta ha un talento grezzo sorprendente come il tuo, le aspettative sono spesso irraggiungibili”.
Martínez parla dello sport come divertimento: “Mi sentivo molto a mio agio in campo, tutto scorreva e controllavo la palla e tutto quello che volevo fare perfettamente. Quando ti senti così sicuro e ti senti così bene con te stesso, puoi fare qualsiasi cosa. E mi piaceva molto la creatività, realizzare colpi diversi, cercare angolazioni che sembravano impossibili… Quando ero in uno di quei momenti, giocare era un piacere”.
Racconta di aver cominciato a giocare solo a 9 anni, dopo aver passati gli anni precedenti a giocare da sola contro un muro. Tre anni dopo era già tra le migliori della Spagna, e a 15 la migliore del mondo per la sua età. “Ho vinto per me stessa e per nessun altro. Questo è essenziale. La popolarità non mi è piaciuta. Non ho bisogno di vantarmi di niente. Non ne ho mai avuto bisogno. Stavo facendo il mio lavoro, che è quello che mi piaceva e volevo fare del mio meglio”.
Nella finale di Wimbledon batté Martina Navratilova, il suo idolo. “Sono cresciuta con due idoli: Martina e McEnroe, perché mi piaceva il loro stile di gioco. Non è che ci fosse molto tennis in tv a quel tempo, ma quando potevo mi piaceva guardarli giocare, mi divertivano ed erano una fonte d’ispirazione perché quando giocavo contro il muro sotto casa, giocavo contro di loro. Loro erano il muro e immaginavo che li avrei battuti”.
Il tennis è un disastro a livello mentale: “La richiesta mentale è tremenda e molti giocatori si rompono lungo la strada. Sono stata professionista per 18 anni. Essere al 100% ogni giorno, ogni set, ogni game e ogni punto è praticamente impossibile. Ho avuto uno psicologo dello sport per quasi tutta la mia carriera ed è stato una parte importante delle mie vittorie. Abbiamo lavorato duramente per creare routine e un piano di lavoro in partita e fuori partita che funzionasse per me. È molto importante prendersi cura di questo ed è stato dimostrato che aiuta molto”.