Il New York Times celebra «la meravigliosa sconfitta di Sinner, e la bellezza dei perdenti»
"I vincitori avranno sempre ciò che gli spetta. Ma lunga vita ai fragili. Gli stanchi e sfiniti, i lottatori e gli sbandati. Occupano l'angolo più riconoscibile degli sport di successo"

Italy's Jannik Sinner reacts as he plays against Germany's Daniel Altmaier during their men's singles match on day five of the Roland-Garros Open tennis tournament at the Court Suzanne-Lenglen in Paris on June 1, 2023. (Photo by Anne-Christine POUJOULAT / AFP)
“Sinner è uscito dal campo disordinato e nervoso, la sua faccia tradiva l’insicurezza comune ai perdenti. In altre parole, era meravigliosamente umano”. Il New York Times usa – anche – Jannik Sinner per celebrare la “bellezza” della sconfitta sportiva, il fascino dei perdenti in pubblica piazza. Anche se Sinner è tutt’altro, ovviamente. Ma Kurt Streeter descrive la sua partita maledetta al Roland Garros contro Altmaier (chi era costui?) per ribaltare quel concetto tanto juventino del “vincere è l’unica cosa che conta”. Macché, scrive: “lunga vita ai fragili. Gli stanchi e sfiniti, i lottatori e gli sbandati. Gli atleti che subiscono tristemente in pubblico. Lunga vita agli sconfitti nello sport”.
Sinner, scrive il Nyt, “avrebbe dovuto vincere senza troppi problemi. È andato avanti presto, ma ha lottato. Passata un’ora, Altmaier l’ha raggiunto. Passata un’altra ora la partita è andata in stallo. Tre ore diventano quattro. Sinner ha due match point e li brucia entrambi. Vanno al quinto set. E poi… e poi, dopo 5 ore e 26 minuti, game set match. Punteggio finale: 6-7 (0), 7-6 (7), 1-6, 7-6 (4), 7-5. La quinta partita più lunga nella storia dell’Open di Francia”.
Streeter cita in premessa anche la povera Wang, asfaltata da Iga Swiatek. E fa altri esempi recenti di altri sport. Il punto è che “c’è gloria in quel tipo di imperfezione”.
“La maggior parte della narrazione si concentra sui vincitori. È naturale. I più grandi atleti del mondo estendono e piegano i limiti del potenziale umano. Il meglio del meglio sembra persino in grado di controllare il tempo. Non c’è da stupirsi che li guardiamo esibirsi con un timore reverenziale che sembra esistenziale. Sono diventati divini nel nostro mondo. Va bene e comprensibile, ma datemi la tennista che lotta con tutte le sue forze per vincere una singola partita in una partita del Grande Slam. Datemi la stella del basket che fa tiri liberi cruciali e il portiere dell’hockey che scivola e lascia passare il tiro vincente. Datemi i nervi che appassiscono quando arriva la pressione. I riflessi che non sono più quelli di una volta. Perché? Bene, i vincitori avranno sempre ciò che gli spetta. Ma errare, come tutti sappiamo, è umano, interamente e magnificamente. E quelli che perdono in così tanti modi diversi occupano l’angolo più riconoscibile degli sport di successo.
“C’è conforto nel sapere che atleti altamente condizionati, estremamente coordinati e profondamente testati in battaglia possono stancarsi, avere crampi, soccombere alla pressione, lottare per ottenere abbastanza aria e subire una sconfitta pungente. Nell’atto del fallire, diventano, anche se solo brevemente, più simili al resto di noi schmoes”.
“Sei mai stato sull’orlo di qualcosa di grande, solo per fallire – e fallire duramente, in pubblico? Sì, anch’io, tornando allo spettacolo di quinta elementare in cui ho dimenticato le mie battute, sono inciampato sul palco e mi sono quasi rotto il naso”.
“La terra rossa del Roland Garros – dove nessun passo è sicuro, nessun rimbalzo su cui si può contare e ogni partita può trasformarsi in un’estenuante maratona – offre una finestra chiara come un’altra sulla schiacciante verità dello sport. Le giocatrici scendono in campo con l’aspetto di modelle da passerella parigine, la pelle abbronzata, i vestiti stirati. Poi, una volta che le partite iniziano la realtà prende il sopravvento”.
“Sulla terra del Roland Garros le punte possono allungarsi come un assolo di John Coltrane. Possono andare avanti all’infinito, aumentando la pressione, costruendo il tempo in un crescendo. Nelle partite più lunghe e competitive si può spesso vedere l’agonia – mentale quanto fisica – scendere sui giocatori. L’incertezza si insinua, e con essa la magrezza. I muscoli si indeboliscono e tremano. Gli abiti nitidi – scarpe, calzini, camicie, braccialetti, fasce per la testa, cappelli – si incrostano di sudore e grumi di argilla”.