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Sabina Guzzanti: «Moana Pozzi era bellissima. Mi guardava dall’alto in basso come si guarda una nullità»

Al CorSera: «Con Corrado e Caterina siamo molto legati. Tra noi parliamo con una specie di lingua segreta, velocissima, a scatti. La capiamo solo noi».

Sabina Guzzanti: «Moana Pozzi era bellissima. Mi guardava dall’alto in basso come si guarda una nullità»

Il Corriere della Sera intervista Sabina Guzzanti. Regista, sceneggiatrice e attrice, ha lavorato a molti programmi
satirici televisivi tra cui Avanzi, Tunnel, Pippo Kennedy Show, e ha scritto e diretto film sia di finzione che
documentari. Oggi si divide tra il teatro, la letteratura e le apparizioni televisive su La7. È appena uscito il suo
nuovo romanzo, una commedia dal titolo «ANonniMus – Vecchi rivoluzionari contro giovani robot» (HarperCollins).

La Guzzanti racconta di quando la censurarono per la sua prima apparizione in tv, nel 1987 e dell’incontro con Moana Pozzi.

«Era bellissima. Io un giorno mi avvicinai per parlarle, così, tanto per fare conversazione, e lei mi guardò dall’alto in basso come si guarda una nullità. Poi se ne andò senza dire una parola».

E’ stata vent’anni lontana dalla Rai. Le chiedono se ci tornerebbe. La Guzzanti risponde:

«Non è una questione di Rai o non Rai. Io voglio andare là dove mi fanno dire quello che penso, ma senza estremismi da nessuna delle due parti. Io, come vede, sono una persona mite, ragionevole, non sono una che si impunta. Ma mi dà fastidio quando la censura viene definita “linea editoriale”. Tutto qui».

La Guzzanti parla delle imitazioni, un suo cavallo di battaglia.

«Io le imitazioni in passato le ho fatte perché dovevo lavorare, mica sono stata sempre convinta di saperle fare. Tutto cominciò con Rita Levi Montalcini. Ero in cucina, la sentii alla tv e cominciai a fare la sua voce. Il mio compagno di allora arrivò con gli occhi spalancati e disse: “Ma sei uguale”. E così cominciai».

D’Alema come la prese?

«Una volta ci misero assieme nello stesso studio televisivo, stette al gioco, abbozzò un sorriso ma mi ricordo il colore della sua faccia: livida».

Sul fratello Corrado:

«Abbiamo un rapporto molto buono, ma tutti e tre siamo molto legati, anche con Caterina. Quando ci ritroviamo
— e avviene abbastanza spesso — a casa, succede una cosa curiosa: ci mettiamo a parlare in un modo tutto nostro, una specie di lingua segreta, velocissima, a scatti. La capiamo solo noi, una questione di vibrazioni. E poi scoppiamo a ridere come tre matti».

La comicità, dice la Guzzanti, «è spesso una reazione alla sofferenza». Parla di un’infanzia «complessa».

Nati da Paolo Guzzanti, giornalista e deputato e da Germana Antonucci.

«Mamma e papà andavano ancora all’università quando siamo nati io e Corrado. Giovanissimi… Il loro è stato un rapporto burrascoso, si sono separati più volte e questo ha preso molta della loro attenzione che, dunque, non è arrivata a noi. Ma ci sono state anche cose belle. Ci hanno insegnato a esercitare lo spirito critico. Io ho fatto la scuola montessoriana, quindi sperimentale, eppure ero una ribelle fin da bambina. Un giorno radunai tutte le sedie che potei trovare e costruii due enormi navi in corridoio. Mi fecero capire che non stava bene, i bidelli impiegarono sette ore per rimettere tutto a posto. Io stavo solo facendo teatro».

Era brava a scuola? La Guzzanti:

«Ho letto Gramsci in seconda media, in terza ho messo mano al Manifesto di Marx e Engels. Scrivevo commedie sin dalle elementari. Certo, erano commedie scritte da una bambina».

 

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