Nibali: «Del pubblico mi sono accorto solo all’ultimo Giro, prima ero concentrato solo su me stesso»

A Sette: «Migliaia di persone che mi incoraggiavano e mi invitavano a non mollare anche se tutti sapevano che non avrei mai vinto. Avrei voluto non finisse mai».

Nibali

Val Thorens (Francia) 27/07/2019 - Tour de France / foto Panoramic/Insidefoto/Image Sport nella foto: Vincenzo Nibali ONLY ITALY

Sette, settimanale del Corriere della Sera, intervista Vincenzo Nibali. Il suo primo giorno al Giro d’Italia risale al 12 maggio 2007 quando, 22enne, scattò assieme ai compagni della Liquigas dalla pedana della cronosquadre dell’Isola della Maddalena in direzione di Caprera, in una delle partenze più spettacolari della storia della corsa rosa. La Liquigas vinse la tappa e tre settimane dopo il suo capitano, Danilo Di Luca, portò a casa il Trofeo Senza Fine. Nelle undici edizioni del Giro cui ha partecipato senza mai ritirarsi, Nibali ne ha percorso 38.019 chilometri suddivisi in 231 tappe (vincendone sette), scalando 530 salite, arrivando due volte primo, due secondo e due terzo. Lo scorso ottobre Nibali si è ritirato.

Gli chiedono della gioia di vincere due Giri d’Italia, come Girardengo, Anquetil, Indurain.

«Dopo tre settimane di corsa sei sfinito, logorato e non vedi l’ora di tornare a casa. Hai combattuto, sofferto, subìto sconfitte e incassato vittorie. E leghi ogni luogo e ogni giorno alle sensazioni di gara senza unire i fili dei vari episodi. La vittoria del 2016 venne dopo due settimane difficili grazie a tre giorni di grande gloria ma anche di enorme fatica sulle Alpi piemontesi. Le emozioni di una vittoria finale al Giro le realizzi solo tempo dopo, magari riguardando il Trofeo che tieni a casa».

I giorni più difficili dei suoi 231 passati nella corsa rosa? Nibali:

«Nel 2011 gli organizzatori s’inventarono una tappa di sette ore e mezza che dopo Giau e Fedaia saliva al Gardeccia attraverso una specie di mulattiera. Pioveva acqua ghiacciata e quando al traguardo mi dissero che dovevo tornare in albergo in bicicletta volevo svenire. Poi la tappa sugli sterrati di Montalcino al Giro 2010, quando persi la maglia rosa nel fango: una fatica quasi insopportabile in una giornata in cui nessun essere umano si sarebbe mai azzardato a uscire in bicicletta».

Difficile scindere il percorso del Giro dal suo pubblico. Nibali racconta:

«Devo confessare una cosa. Dell’importanza dell’affetto del pubblico mi sono accorto pienamente nel 2022, al mio ultimo Giro: prima forse ero troppo concentrato su me stesso e sul risultato. Migliaia di persone con cartelli, scritte sull’asfalto, cori da stadio che mi incoraggiavano e mi invitavano a non mollare anche se tutti sapevano che non avrei mai vinto. Era affetto puro. Avrei voluto non finisse mai, avrei desiderato ringraziare tutti, uno per uno».

Da bambino si è innamorato del ciclismo sulle strade del Giro, nella sua Sicilia.

«Era una grande festa: il preside chiudeva la scuola, il sindaco invitava la popolazione a tifare sulle strade, io e mio padre partivamo all’alba per appostarci in salita prima che chiudessero le strade. I corridori erano solo parte dello spettacolo: c’erano la carovana pubblicitaria, i camioncini che vedevano la maglietta rosa con la Gazzetta dello Sport, le moto che precedevano la corsa facendo un fracasso incredibile. E ci sono ancora».

 

 

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