Il presunto smantellamento estivo, retorica sulla bandiere lasciate partire, il campionato riaperto dopo il Mondiale, il terrore dei festeggiamenti
Non è facile commentare un evento, specialmente nell’era social, dopo qualche giorno. Ne sono passati quattro dalla conquista dello scudetto e sembra davvero che tutto sia stato già detto, scritto, filmato e documentato.
Ma questa molto saltuaria rubrica si chiama “a mente fredda” e il nome, qualche anno fa, fu scelto proprio perché l’intento era di non parlare prima di aver avuto il tempo di fare qualche riflessione. Ci proviamo.
L’autostrada del Sole
I contestatori avevano adottato il logo dell’A16, l’autostrada Napoli – Bar,i per dire al Presidente che se ne doveva andare, lui che non voleva vincere, che questa piazza meritava di più, che la SSC Napoli non sapeva programmare, gestire, trattenere, spendere, investire. Nemmeno comunicare.
Alla fine il logo giusto da adottare, invece, era quello dell’autostrada del Sole, l’A1. Quella che la squadra ha percorso a tutta velocità, senza fare fermate neanche per pisciare, per portare lo scudetto da Milano a Napoli
Campionato riaperto. Ma non era vero
È stata una vittoria indiscutibile, senza storia. Il Napoli ha ingranato la marcia alla quinta giornata, dopo due vittorie e due pareggi, e da allora non ce n’è stato più per nessuno, nonostante lo scetticismo che ha accompagnato la squadra fino al ritorno dalla sosta mondiale, quando il KO a Milano contro l’Inter aveva fatto gridare al campionato riaperto praticamente tutta la folta schiera di commentatori (i cecchini li ha chiamati Spalletti) che avevano pronosticato (vai a capire perché) un girone di ritorno infausto per gli azzurri.
Così non è stato, lo sappiamo. Anzi, ad andare in crisi ad una una sono state le presunte pretendenti al titolo, mentre il Napoli saliva verso la vetta con il suo passo, sempre più convinto di potercela fare e poter vedere che dietro la curva c’era una luna in fondo al blu.
‘O quatt’ ‘e maggio
La data fatidica, il 4 di maggio, a Napoli evoca sfratti e traslochi di antica memoria. Preso il detto in parola, da quel giorno i campioni in carica non sono più i rossoneri di Pioli e Leao, ma gli azzurri di capitan Di Lorenzo e Spalletti da Certaldo. Ai milanisti dedichiamo i versi di Giacomo Rondinella:
“Core, fatte curaggio,
‘sta vita è nu passaggio:
Facimmoncillo chistu quatto ‘e maggio…
che ce penzammo a fá
si ‘o munno accussí va?!”
Bandiere tutte azzurre
C’è stato un momento in cui, incredibilmente, in città si è parlato solo di bandiere allo stadio. Ci sono, non ci sono? si possono portare, non si possono portare? E, soprattutto, sono ignifughe?
Domande rimaste senza risposta e seppellite sotto una foto in un hotel cittadino, con al centro Aurelio De Laurentiis e capi ultrà tutt’intorno. “Napoli siamo noi”, che fino a quel momento era stato urlato allo stadio per ribadire al presidente la sua estraneità (alla città, al tifo, al sentimento, fate voi), un giorno all’improvviso è diventato il nuovo “volemose bene”. A qualcuno è parsa un’abiura, a qualcuno un capolavoro di comunicazione, a qualcun altro l’ennesima furbata di un Presidente che in 18 anni ci ha fatto vedere un po’ di tutto. Fatto sta che le bandiere sono tornate allo stadio che ora porta il nome del più grande.
Tante, tantissime bandiere sugli spalti e nessuna in campo
Già, perché a correre, pressare, dribblare e scaraventare la palla in rete quest’anno “le bandiere” non c’erano, se l’era portate via il vento caldo dell’estate 2022. Chi a Toronto, chi in Turchia, chi a Parigi e chi a Londra.
Il Napoli del primo scudetto ne aveva parecchie in rosa. C’era Beppe Bruscolotti e c’era Moreno Ferrario, per dire, che in due contano quasi 900 presenze con la maglia azzurra che hanno vestito rispettivamente per 16 e 11 stagioni. C’era Ciro Ferrara che bandiera (mezza ammainata per via del successivo passaggio alla Giuventus) lo sarebbe diventato presto. C’era anche Di Fusco, eterno secondo che giocava pochissimo, ma che i guantoni se li metteva comunque dalla stagione ‘78/’79.
In questo Napoli no. Il più “anziano” è Piotr Zielinski, che arrivò da Empoli nel 2016, ma che il piglio del leader e il portamento della bandiera non lo ha mai avuto.
Da Empoli negli anni successivi sarebbero arrivati anche Di Lorenzo e (via Roma) Mario Rui, i padroni delle fasce, accomunati oltre che dal passato empolese (dove iniziò Spalletti, tra l’altro) dal fatto di essere arrivati per fare le riserve e di aver vinto lo scudetto da titolarissimi.
Non è un caso se sulle bandiere (quelle proprio assai) che sventolano in città da finestre e balconi, le facce più ricorrenti siano quelle di Osimhen e Kvaratskhelia (che sono qui da poco e da pochissimo) e quella di Maradaona, la bandiera delle bandiere, che se n’è andato da questa terra tre anni fa, ma che in città è una presenza quotidiana.
Il pappice
Più del ciuccio è proprio il coleottero immortalato nel proverbio con la noce l’animale simbolo del Napoli di De Laurentiis. Questo scudetto non è arrivato scalciando, ma spertusando lentamente la corteccia del campionato italiano. Da quando è tornato in Serie A il Napoli ha cominciato la lunga marcia di avvicinamento al titolo, fatta di piazzamenti, terzi, quinti e secondi posti. Fatta di un’Europa che non è mai mancata da 14 anni a questa parte. Fatta di tre coppe Italia e una Supercoppa. Fatta di scippi (Pechino), furti in albergo (Firenze), sorteggi sfortunati (Real Madrid, Chelsea, Barcellona), record di punti che non sono serviti a niente (12 ai gironi di Champions, 91 in campionato). Fatta di stelle che abbiamo fatto nascere a visto andar via (Cavani, Lavezzi), di allenatori che abbiamo lanciato (Sarri, Mazzarri) e provato ad affossare (Ancelotti), fatta di fedeltà (Hamsik) e tradimenti (Higuain). Si sa, into a ‘sta città manco ‘e sante è facite allignà. Ma il Napoli è sempre e comunque stato lì, convinto (almeno la società) che prima o poi sarebbe arrivato l’anno buono. Così è andata.
La festa
Temuta, agognata, allontanata e ad un certo punto sdoganata, prima di essere rinviata un paio di volte alla fine è arrivata ed è stata… solo una festa, bella, spontanea, di popolo, partecipata, un po’ sopra le righe per certi versi, un po’ sotto per certi altri. Ma è stata solo una festa, non un riscatto, non una rivincita, non una tragedia né un’ecatombe. Nonostante un blocco del traffico che non si vedeva dalla zona rossa del G7 e un blocco delle metropolitane che si vede tutti i giorni, a Napoli si è festeggiato e sbandierato e cantato come sempre è la festa quando c’è qualcosa di bello da festeggiare, sbandierare e cantare. E il giorno dopo, pensate un po’, visto che l’evento era infrasettimanale i napoletani sono andati pure a lavorare. Solo, questo sì, parecchio più contenti.
Il futuro
Non abbiamo fatto in tempo nemmeno a leggere i titoli dei giornali che celebravano la vittoria (spoiler: non vi siete persi niente, tra CantaNapoli, Ricomincio da tre, Ricomincio da te, etc. etc., sembra davvero che la proverbiale inventiva partenopea sia andata a farsi benedire), che già sono spuntate le nubi delle partenze, dell’abbandono, dello smantellamento. Le notizie danno i neocampioni già a Manchester, Parigi e Madrid. Sarà quel che sarà, lo scopriremo solo vivendo, ma se una cosa abbiamo imparato in quest’anno clamoroso è che si muore un po’ per poter vivere. E vincere.