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I Quartieri Spagnoli possono diventare il nuovo Centro Direzionale, la borghesia operosa è lì

Raramente Napoli si è mostrata così abbagliante. Altro che visioni apocalittiche, allo stadio spirito anarchico e scanzonato

I Quartieri Spagnoli possono diventare il nuovo Centro Direzionale, la borghesia operosa è lì
Napoli fans gather by the Castel dell'Ovo on the seafront of Naples on April 30, 2023 prior to the Italian Serie A football match between Napoli and Salernitana. - Naples braces for its potential first Scudetto championship win in 33 years. With a 17 point lead at the top of Serie A, southern Italy's biggest club is anticipating its victory in the Scudetto for the first time since 1990. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

Raramente Napoli si è mostrata abbagliante come in questi due giorni – divenuti poi tre – di prove tecniche di festa scudetto. Migliaia di persone in attesa apprensiva del diritto sancito, firmato, registrato e vidimato di gioire.

Molti invocavano la bolgia umana, lo stadio che dovesse eruttare e produrre leoni temerari – sempre per rimanere in linea con le metafore post apocalittiche e vagamente funeree che piacciono a tanta parte di stampa e lettori. Lo stadio, invece, è stato un tripudio di quello spirito anarchico e scanzonato, specchio della disorganizzazione cittadina che si affida completamente al caotico ma efficace dubbio gusto di milioni di singoli. Napoli è un altare mondiale su cui finiscono i giorni delle istituzioni – tardive, largamente incapaci, in cronico ritardo.

La notizia c’è – se a qualcuno interessasse. Ed è che la borghesia operosa e nascente, in città, è quasi tutta nei Quartieri Spagnoli, trasformati in un florilegio di ristoranti e pescherie confezionati e dati in pasto ad eserciti di turisti disposti a spendere la qualunque per portare alla bocca un liquido arancioide denominato spritz, seduti ad ammirare ogni cosa tra la chiesa Sant’Anna di Palazzo e la Chiesa di Maradona. Il Napoli ha contribuito a spingere quei vicoli fatiscenti, in cui la convivenza civile è impossibile nel terzo millennio, in ciò che essi possono diventare – il de facto nuovo centro direzionale cittadino. È lì, infatti, che si manifesta il brulicare del commercio, dei soldi passati di mano in mano milioni di volte al giorno per raccontare ascoltare vivere sensazioni totalmente artefatte. Come sempre, alla frustrazione dei laudatores temporis acti locali – che si lamentano del folklore che distrugge il cosiddetto spirito di un tempo (che mai fu) – fanno da controcanto i commercianti, coloro che da Marco Polo in poi hanno sempre plasmato il mondo più di sindaci e cardinali, i quali hanno reso i Quartieri uno tra i più grandi mercati di stupefacenti (non narcotici) a cielo aperto della città, certamente anche della nazione e forse tra i migliori del continente.

Poi c’è Posillipo. Non solo la tribuna. Non solo il palazzo dove ancora si cincischia di qualche ex giocatore. Ma la collina ed il suo nome. L’etimo che è un programma di vita – la tregua dal dolore. Non c’è alcuna promessa. Non esiste alcuna piattaforma teorica, tecnica, religiosa o politica. Quanto, al massimo, può verificarsi è una parziale e passeggera pausa dal costante dolore di vivere, di attendere un risultato che pare impossibile sia sfuggire che avverarsi e che pure non cambia le sorti dell’esistenza. È quello che, mentre mi avviavo allo stadio, mi ha spiegato il tizio all’angolo che mi ha venduto due trombe ad aria Made in China quando gli ho chiesto se avesse una busta per portarle con me: No, la busta non c’è. Il bello è proprio questo, te le hai a purtà a mmano.

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