Al CorSera: «Andammo a Torino in elicottero. Pensavo che ci avrebbero abbattuto. Invece Agnelli ci chiese di rinunciare a Baggio».

Sul Corriere della Sera, Aldo Cazzullo intervista Adriano Galliani, amministratore delegato del Monza. Una lunga chiacchierata che parte dai suoi ricordi di infanzia, con il racconto della famiglia, fino a quello di una vita intera segnata dalla passione per il calcio. Una vita in cui l’incontro con Berlusconi è stato sicuramente una svolta. Insieme acquistarono il Milan. Galliani racconta:
«Era il Capodanno 1986. Sono in vacanza nella villa del presidente a St. Moritz, con Confalonieri e Dell’Utri. Fa un freddo tremendo, usciamo imbacuccati per andare a prendere l’aperitivo al Palace e incrociamo il clan Agnelli: l’Avvocato con la camicia aperta, Montezemolo con il ciuffo, Jas Gawronski elegantissimo, forse Malagò. Al confronto noi sembravamo Totò e Peppino. Condividiamo il tavolo. Alla fine Berlusconi ci dice: “Potremo fare anche noi grandi cose, ma non saremo mai come loro. Ci mancano venti centimetri di statura e il coraggio di esporre il petto villoso sottozero”. Qualche giorno dopo ci propose di prendere il Milan».
Galliani parla di Berlusconi:
«Non c’è nulla di più lontano dalla realtà dell’immagine che ha dato di lui certa stampa. È come Ezzelino da Romano, passato alla storia come crudele mentre era un grand’uomo. Berlusconi è la persona più buona che ho conosciuto in vita mia. È dolcissimo. Non dimenticherò mai le cose che mi ha detto sulla nostra amicizia prima del suo intervento al cuore; anche se dopo 44 anni non riesco a dargli del tu. Quando rischiai di morire di Covid, in un prefabbricato senza finestre, lui telefonava al San Raffaele ogni giorno per avere mie notizie».
Galliani racconta di quando, preso il Milan, lui e Berlusconi salutarono Nils Liedholm.
«Avevamo molto rispetto per il Barone. Ma si doveva cambiare passo. Liedholm era la flemma: in ogni albergo voleva la camera 5 o la 113 o quella il cui numero in totale facesse 5. Sacchi urlava nel sonno, stringeva i pugni, lanciava grida disumane. In campo allenava con il megafono. Alla fine gli olandesi non lo sopportavano più».
Sacchi stava per andare alla Fiorentina.
«Lo intercettammo per strada. Quasi impossibile, nell’era pre-telefonini. Accettò di firmare in bianco. Io scrissi 300 milioni, meno di quello che prendeva in B al Parma. Lui pose una condizione: a ogni trofeo me li raddoppiate. L’anno dopo vinse lo scudetto, l’anno dopo ancora la Coppa dei Campioni. Faceva un miliardo e 200 milioni. Che fui felice di pagargli».
Nel libro «Le memorie di Adriano G.», scritto con Luigi Garlando, Galliani racconta che Agnelli intervenne affinché il Milan non riuscisse a comprare Baggio.
«Quella volta a Torino andammo in elicottero. Pensavo che ci avrebbero abbattuto. Invece arriviamo a corso Marconi, c’è anche Romiti, e Agnelli ci chiede di rinunciare a Baggio, introduce anche discorsi extracalcistici… La fusione tra Rinascente e Standa. Io capisco che Berlusconi ci sta ripensando e intervengo, alzo la voce. Agnelli mi richiama all’ordine: “Si calmi, non faccia così…”. Finì che Baggio andò alla Juve».
Su Vialli, che al Milan disse di no.
«Avevamo l’accordo con Mantovani, andammo a casa sua convinti di chiudere. Invece ci chiese, quasi beffardo: a Milano c’è il mare? Pensai: sei nato a Cremona, mi stai prendendo in giro? Invece sorrisi: a Milano2 abbiamo un laghetto bello come il mare. E lui: peccato, senza mare non riesco a vivere. Credo che in realtà Mantovani ci avesse ripensato. Così prendemmo Marco Van Basten. Il calciatore più forte che abbia mai visto».
Galliani racconta di quando prese Boban.
«Andammo al ristorante con il padre, un colonnello croato, Marinko, uomo d’ordine. Avevamo davanti una bottiglia di San Pellegrino, e ogni volta lui la ruotava. Gli chiesi perché. “Perché non sopporto di vedere una stella rossa” rispose».
A Istanbul, in Champions League, il Liverpool rimontò sul Milan tre gol e lo sconfisse ai rigori.
«Davanti a noi c’era un muretto basso, al terzo gol di Crespo stavo per cadere di sotto, mi salvò Erdogan afferrandomi per la giacca. Berlusconi? Non disse nulla. Dopo la partita restammo seduti più di mezz’ora in tribuna, senza dirci una parola. Avevamo perso, ma la squadra aveva dato il massimo. Si era arrabbiato molto di più dopo uno 0-0 con il Celta Vigo in cui non avevamo tirato in porta, riempì me e Capello di improperi. Il bel gioco prima di tutto».
Galliani prese per sfinimento Ibra.
«Mi piazzai nel salotto di casa: non me ne vado finché non firmi. Restai tutto il giorno. La moglie mi guardava come un pazzo: ma questo chi diavolo è? E Ibra: “È Galliani del Milan, dice che non se ne va finché non firmo”. E tu cosa farai? “Credo che firmerò, se no quello non se ne va davvero”».
Galliani fu interrogato da Borrelli.
«Filò tutto liscio. Poi però la sua collaboratrice Maria José Falcicchia, futura vicequestore di Milano, mi inseguì: “Il dottor Borrelli vorrebbe fargli ancora una domanda”. Tornai indietro e gli feci notare che quella era la tattica di Lavrentij Berija, il ministro degli interni di Stalin».
Galliani racconta i tanti acquisti del Milan. A partire da Shevchenko. Nel libro racconta di quando lo andò a vedere a Kiev, con un freddo terribile e le prostitute che tentavano di entrargli in camera.
«Dormii con il cappotto e con una cassapanca contro la porta. Passai la notte al telefono con la donna di cui ero innamorato, Manuela Moreno, la giornalista tv».
Prima di Sheva c’era stato Rui Costa, che poi si fece da parte quando arrivò Kakà.
«Rui Costa fece una cosa che non avevo mai visto e non ho mai più visto fare a nessun calciatore. Mi telefonò: “Kakà è molto più forte di me. Mi faccio da parte”».
Nel libro Galliani accenna anche al mancato ingaggio di Sarri:
«Cambiai idea quando lessi che aveva dichiarato: Renzi è addirittura peggio di Berlusconi. Così prendemmo Mihajlovic».
Racconta di quando il Milan vendette Kakà al Real.
«Quella volta, mentre firmavo, piangevo proprio. Il mio amico Florentino Perez ci rimase male: Adriano, se vuoi annulliamo tutto. Ma ormai certi costi non potevamo più permetterceli».
Come immagina l’aldilà?
«Spero tanto che esista per mettere fine alla mia ricerca. Perché per tutta la vita ho cercato la mia mamma».
È vero che non prende più gli ansiolitici?
«Ho risolto scappando dallo stadio nell’intervallo e rifugiandomi nel Duomo di Monza, a cellulare spento. Esco solo dopo il fischio finale. Ma quando abbiamo battuto la Juve mi ha avvisato il chierichetto: abbiamo vinto!».