Voi che paragonate Kvara a Maradona, vi siete dimenticati cos’era Diego? (CorSera)

Fabrizio Roncone ricorda Maradona, dall'allenamento nel fango con gli scarpini slacciati al declino. "Dimostrò che l’impossibile è possibile"

maradona tardelli Bruscolotti

archivio storico Image Sport / Napoli / nella foto: Diego Armando Maradona foto Imago/Image Sport

Sul Corriere della Sera Fabrizio Roncone scrive di Maradona. O meglio, del paragone tra Kvaratskhelia e Maradona. Un paragone impensabile per chi ha visto giocare Diego.

Roncone racconta una cena a Roma, a casa du un tifoso napoletano. E il discorso ovviamente puntato sul calcio, sui nuovi eroi del Napoli di Spalletti, con annessa esaltazione per Kvaratskhelia, l’attaccante georgiano rivelazione
del campionato.

“più che attaccante, ala. Con le giocate proprio da vecchia ala sinistra. Di dribbling secco, sempre dentro l’incertezza su cosa stia per decidere: tira o mette il compagno solo davanti al portiere? Gran calciatore. Già adorato. Tanto. Troppo. E infatti paragonato. Addirittura a lui. A Diego. Il Dio del calcio che si fece uomo e venne a giocare per noi, tra noi”.

Un paragone impossibile, scrive Ronconi.

“Mentre mangiamo un’arista di maiale alle mele, glielo dico: scusate, ma voi state bestemmiando. Va bene l’euforia battente, la felicità trattenuta, la scaramanzia ossessiva che annebbia. Forse, però, vi siete dimenticati di cos’era Maradona”.

E lo ricorda, a partire dal 1990, anno in cui il Napoli inseguiva il secondo scudetto e i cronisti venivano mandati sempre più spesso in città a seguire le avventure della squadra e soprattutto di Maradona. Roncone ricorda un allenamento a Soccavo, con la pioggia e il vento e il terreno di gioco trasformato, in pochi minuti, in un rettangolo
di fango. I calciatori chiesero di sospendere la seduta di allenamento, ma l’allenatore, che all’epoca era Bigon, fu inflessibile.

“Diego (che, se c’era il sole, spesso si divertiva a giocare tra i pali: e, anche tra i pali, un gatto meraviglioso) si avvia verso il cerchio di centrocampo, e lì resta. Non si muove più. Ma ogni volta che gli arriva il pallone — uno di quei palloni con cui si giocava all’epoca, zuppo e pesantissimo — lo accarezza con la punta, lo alza e inizia a fare giocate incredibili. Tacco, coscia, testa, e poi slang! lanci da quaranta metri per un compagno o proprio a cercare direttamente, laggiù, la porta avversaria. Spettacolo assoluto. Fantascienza”.

Diego lo fece con il fango alle caviglie e gli scarpini completamente slacciati, ricorda Roncone. “Pazzesco“.

Tredici anni dopo, lo incontrò di nuovo a Fiuggi, nel circolo del golf. Maradona doveva incontrare il figlio Diego
Junior.

“Diego era irriconoscibile. Grasso, con le palpebre socchiuse, camminando storto si avviò giù per i campi, cercando un punto riparato dagli alberi dove poter parlare con Dieguito. Ma, mentre era lì che aspettava, vide una pallina da golf. Le palline da golf sono piccole e tremendamente dure. Però sono tonde. Un dettaglio che scatenò l’istinto di Diego: colpetto sotto e, subito, quella pallina cominciò a restare in aria, destro sinistro destro, in un palleggio clamoroso. La coca non gli era ancora arrivata ai piedi”.

Al termine dell’incontro Roncone pranzò con Diego e il suo manager, Guillermo Coppola.

“Diego rimase muto. Divorò solo un enorme vassoio colmo di pesce fritto. E vuotò quattro lattine di Coca-cola. Si assopì per qualche minuto e stava sbadigliando, quando arrivarono tre brutte facce. Parlavano un dialetto napoletano ruvido, metropolitano, pericoloso. Quello che sembrava essere il capo disse qualcosa nell’orecchio di Diego. Che annuì. Poi ci salutò con una smorfia triste, e seguì il tipaccio verso il bagno. Si era, da tempo, già consegnato al suo destino speciale e tragico. Ma sapeva di aver compiuto la missione per cui era sceso sulla terra: rendere felici gli ultimi e dimostrare che l’impossibile è possibile”.

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