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Il Napoli ha giocato sempre allo stesso modo: come e dove voleva Pioli

Pioli ha sfruttato il grande bug di sistema del Napoli di Spalletti: l’incapacità di difendere bene in transizione negativa e/o in spazi aperti

Il Napoli ha giocato sempre allo stesso modo: come e dove voleva Pioli
AC Milan's Portuguese forward Rafael Leao makes a decisive assist for AC Milan's French forward Olivier Giroud (not in picture) to open the scoring during the UEFA Champions League quarter-finals second leg football match between SSC Napoli and AC Milan on April 18, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

La vittoria di Stefano Pioli

Stefano Pioli ha battuto il Napoli per la terza volta consecutiva – perché quella di ieri sera è una vittoria, anche se il tabellino dice altro. E l’ha fatto nel modo più semplice possibile, esattamente come nelle due gare precedenti: ha schierato e addestrato il suo Milan per non perdere, e alla fine non ha perso. Il tecnico rossonero ha ideato e attuato un piano-gara di tipo contenitivo, diciamo pure difensivo, e in questo modo ha sfruttato il grande bug di sistema del Napoli di Spalletti, almeno in questo momento della stagione: l’incapacità di difendere bene in transizione negativa e/o in spazi aperti. Soprattutto se l’avversario da fermare, in situazioni del genere, si chiama Rafael Leão.

Dal punto di vista tattico, il Napoli ha fatto la partita che poteva e che doveva fare. La squadra di Spalletti è mancata dal punto di vista puramente tecnico, e ne parleremo. I demeriti degli azzurri, però, vanno integrati con i meriti – enormi, davvero enormi – dei giocatori del Milan e dell’allenatore del Milan. Che hanno dato scacco matto ai loro avversari in poche mosse: duelli uno contro uno a tutto campo; ripiegamenti continui a destra per raddoppiare su Kvaratskhelia; Tomori e Kjaer a tenere alta la difesa in modo da azzerare completamente Victor Osimhen. È tutto qui, sembra poco ma è tantissimo. E allora bisogna andare con ordine.

Doble pivote

Il Napoli, per scelta ma anche per rispondere all’assenza di Anguissa, si è presentato allo stadio Maradona con un vestito tattico semi-nuovo. Vale a dire: difesa a quattro, doble pivote Lobotka-Ndombélé in fase di costruzione, Zielinski a muoversi da cuneo tra centro e trequarti campo, Politano e Kvara ai lati di Osimhen. Non si può parlare di 4-2-3-1 puro, vista la fluidità posizionale di Zielinski, ma di certo si può parlare di 4-4-2 in fase di primo pressing, con Zielinski perennemente accanto a Osimhen – almeno nei primi minuti – per aggredire la costruzione bassa del Milan.

In alto, il doble pivote del Napoli in impostazione; sopra, il 4-4-2 della squadra di Spalletti in fase di primo pressing.

Pioli ha riproposto lo stesso identico Milan visto nelle prime due gare contro il Napoli – e forse anche per questo Spalletti ha pensato di mischiare un po’ le carte. Il 4-2-3-1 asimmetrico con Bennacer sulle tracce di Lobotka si deformava continuamente in modo da creare duelli uomo contro uomo a tutto campo. Ad avere il compito più delicato erano Krunic, Tonali e Brahim Díaz: tutti e tre, a turno, dovevano aggiungersi – e si sono aggiunti – a Calabria nel continuo duello occhi negli occhi con Khvicha Kvaratskhelia.

Pioli, in pratica, ha creato le condizioni perché il Napoli giocasse come e dove voleva lui: con le marcature uomo su uomo ha limitato la costruzione dal basso passando per i centrocampisti; ha accettato che il pallone finisse più o meno sempre dalle parti di Mário Rui/Olivera e Kvaratskhelia – lo dicono i numeri: il Napoli ha costruito il 46% delle sue azioni sulla fascia sinistra – e poi ha azionato il raddoppio o a volte anche la triplicazione della marcatura sull’esterno georgiano.

Nel frattempo, Kjaer e Tomori rimanevano sempre a guardia di Osimhen. Senza però concedergli profondità. Anche questo lo dicono i numeri: su 601 passaggi tentati dal Napoli, solo 22 sono stati a lunga gittata. In pratica, Osimhen non è stato mai cercato con i lanci che predilige. Forse le sue condizioni non erano ancora smaglianti e quindi ha attaccato poco – meno del solito – lo spazio alle spalle della difesa avversaria. Resta il fatto che il Napoli non ha differenziato la sua proposta offensiva. Resta il fatto che il Napoli ha giocato sempre allo stesso modo.

Tomori e Kjaer (si vede il braccio nell’inquadratura) sono strettissimi nel marcare Osimhen, ma lo fanno all’altezza della trequarti: in questo modo, non concedono profondità all’attaccante nigeriano.

Prevedibilità e difesa in campo aperto

Eppure nei primi minuti il pressing ad alta intensità del Napoli aveva creato i presupposti perché il piano partita di Spalletti risultasse efficace, per quanto ridondante. O, quantomeno, portasse alla creazione di qualche occasione da gol. Non nitidissima, e anche in questo senso i numeri aiutano a comprendere la realtà: fino al calcio di rigore fischiato in favore del Milan, il Napoli aveva messo insieme 7 tiri verso la porta di Maignan. Di questi, solo uno era finito nello specchio. Insomma, la squadra di Spalletti ha esercitato una buona pressione ma non è riuscita a trasformare questa pressione in qualcosa di concreto. Ecco perché in precedenza abbiamo parlato di una partita persa sul piano tecnico: nei momenti in cui hanno avuto una reale supremazia, gli azzurri è come se fossero mancati nel passaggio decisivo, nella conclusione. Insomma, nella giocata che cambia e indirizza la partita.

Col tempo e a causa di un inevitabile calo fisico, il forcing del Napoli ha perso mordente. E allora il gioco della squadra di Spalletti è diventato prevedibile, leggibile in anticipo. Al Milan è bastato insistere con il raddoppio continuo su Kvara per minimizzare i rischi. Gli infortuni di Mário Rui e Politano hanno fatto il resto, perché i movimenti a venire dentro il campo di Politano e le doti in palleggio di Mário Rui avrebbero potuto offrire un diversivo in più alla squadra di Spalletti. Poi sono arrivate, in rapida successione, due giocate in campo aperto del Milan che hanno tagliato le gambe al Napoli. La prima su una grande azione costruita dal basso e affrontata con un pressing a dir poco avventato da parte degli azzurri, la seconda in transizione negativa. Ma andiamo con ordine anche qui:

Il rigore conquistato da Leão

Qui il 4-4-2 difensivo del Napoli viene squarciato di netto da un pallone servito tra le linee in modo anche elementare, se vogliamo. Il punto è che la prima costruzione di Maignan invita letteralmente al pressing alto Zielinski e Osimhen, è che la scalata di Kvaratskhelia e Lobotka sarebbe pure formalmente corretta, ma alla fine la palla passa comunque e Mário Rui non sta appiccicato come dovrebbe a Brahim Díaz. A quel punto, ogni copertura è saltata: la palla arriva a Leão, un giocatore che Ndombélé non può contenere, e nel frattempo ci sono anche Theo, Bennacer e ovviamente Giroud; lo scambio tra esterni sinistri è perfetto, Mário Rui è in ripiegamento, non riesce a frenarsi e fa fallo da rigore.

Il gol di Giroud

Sul gol di Giroud la situazione tattica di partenza sembra molto differente, ma la matrice è pressoché identica: il Napoli non riesce a muovere velocemente il pallone e allora, per accerchiare il Milan, deve portare moltissimi uomini nella metà campo avversaria. È così che un controllo sbagliato può azionare Leão su un pezzo di prato lunghissimo e poco presidiato: Ndombélé ha un passo troppo più lento rispetto a Leão perché possa rimediare al suo errore, Di Lorenzo corre all’indietro e sceglie – sbagliando – di entrare sull’avversario in modo troppo morbido, senza commettere fallo; a quel punto resta il solo Rrahmani e un eventuale fallo non sarebbe più da giallo, ma da rosso. Infine c’è da dire che Leão è Leão, cioè un giocatore fantastico, e così Giroud si ritrova solo davanti alla porta vuota.

Relativamente a questa transizione ci sono da evidenziare un po’ di cose. La prima, fondamentale: Rafa Leão e pochi altri calciatori al mondo avrebbero potuto incendiare il campo in modo così perentorio. La seconda, altrettanto importante: proprio perché il Milan ha Leão e anche Theo Hernández, se vogliamo, il Napoli avrebbe dovuto preparare meglio i meccanismi difensivi a campo aperto. Certo, un fallo di Di Lorenzo – l’abbiamo già invocato – e/o una condizione fisica migliore di Ndombélé e/o dello stesso Di Lorenzo avrebbero aiutato nella corsa all’indietro, ma resta il fatto che il Napoli ha concesso i tre gol decisivi della trilogia contro il Milan – lo 0-1 di Leão in campionato, quello di Bennacer a San Siro e quello di Giroud ieri sera – perché ha difeso male, cioè in modo molle e anche disorganizzato, su azioni in campo lungo.

La ripresa, ancora la ripetitività e Khvicha Kvaratskhelia

Nel secondo tempo, la partita non è cambiata di una virgola. Anzi, si può dire che il risultato abbia finito per esasperare le dinamiche della prima frazione di gioco. Il Milan, non avendo alcun interesse ad alzare il ritmo, ha semplicemente continuato a fare ciò che gli era riuscito benissimo nel primo tempo. La differenza l’hanno fatta – o meglio: avrebbero potuto farla – alcuni dribbling riusciti di Kvaratskhelia, che per 6 volte su 10 tentativi – guardando solo alla ripresa – è riuscito a superare il suo avversario diretto senza perdere il controllo del pallone. In 2 di queste occasioni ha potuto calciare in porta, ma non ha trovato lo specchio.

I 4 tiri tentati da Kvara nella ripresa, guardando solo alle azioni manovrate. Sono scoccati tutti dalla stessa zolla di campo: anche questo è un segnale di ripetitività, di prevedibilità, per la prestazione offerta dal Napoli ieri sera.

Ecco, proprio questo è stato il problema del Napoli nella ripresa: le uniche 2 conclusioni finite nello specchio sono state il rigore di Kvara e il gol di Osimhen. Come si intuisce guardando anche il campetto appena sopra, la ripetitività del Napoli in fase d’attacco ha fatto sì che la squadra di Spalletti faticasse tantissimo per creare occasioni pulite. Ovviamente il rigore e la parata di Maignan sono due eventi a parte, ma c’è da sottolineare che il fischio di Marchiniak è arrivato su uno dei 28 cross tentati dal Napoli lungo tutto il secondo tempo. Sì, esatto, non avete letto male: nella ripresa, la squadra di Spalletti ha tentato un cross ogni 30 minuti o poco più. Il fatto che Victor Osimhen abbia trovato il suo primo tiro di testa verso la porta nei minuti di recupero è piuttosto eloquente, in questo senso.

E allora la prestazione di Kvaratskhelia va riletta. Cioè, va riabilitata. Pesa e peserà tantissimo il rigore calciato in modo timido, questo è ovvio, ma l’esterno georgiano ha messo insieme 6 tiri verso la porta, 5 passaggi chiave, 19 dribbling riusciti e 8 cross tentati. Insomma, è stata l’unica reale fonte creativa del Napoli visto ieri sera contro il Milan. Il problema, se vogliamo, è stato esattamente questo.

Un finale non solo d’orgoglio

A un quarto d’ora dalla fine, Spalletti ha inserito Ostigard per Rrahmani e, soprattutto, Raspadori per Zielinski. In questo modo, è passato a un 4-2-3-1 – ma si potrebbe dire anche 4-4-2 – puro, con due punte a dividersi il fronte centrale dell’attacco. È stata una mossa della disperazione, è evidente, ma visto com’è andata si potrebbe anche pensare che sia stata fatta troppo tardi, che Spalletti avrebbe potuto anticipare questo tentativo. Per un motivo molto semplice: il rigore conquistato da Di Lorenzo – in seguito all’ennesimo cross, come detto – si origina proprio dal fatto che il Milan ha dovuto cambiare registro. Ha dovuto iniziare a difendere contro un Napoli disposto diversamente intorno e dentro l’area di rigore. Basta un frame per far capire cosa intendiamo:

Osimhen difende palla e ha due soluzioni per lo scarico ravvicinato: Raspadori e Lozano

Con un attaccante in più da fronteggiare e limitare, il Milan ha dovuto necessariamente adattarsi. E allora qui Kjaer non è riuscito a contenere Osimhen spalle alla porta, Lozano ha potuto ricevere con una certa libertà e poi ha premiato la sovrapposizione di Di Lorenzo. Insomma, tutto questo per dire che il finale del Napoli non è stato solo un fatto di puro orgoglio: un cambio più netto di sistema di gioco, inserendo Raspadori al posto di un centrocampista, ha avuto un certo impatto sulla gara. E quindi – ma è facile pensare e scrivere col senno di poi – anticipare questo cambiamento tattico avrebbe potuto anticipare anche questo impatto sulla gara.

Conclusioni

Il Napoli ha perso per tre volte contro una squadra che in realtà è alla sua altezza, solo che non ha saputo dimostrarlo nell’arco del campionato di Serie A. Tutte e tre volte ha perso in modo meritato. E il fatto che le due prestazioni offerte in Champions siano state apprezzabili, o quantomeno non totalmente negative, restituisce l’esatta dimensione del grandissimo lavoro svolto da Pioli per preparare questa triplice sfida.

L’assenza di Osimhen all’andata, così come quelle di Kim Min-jae e Anguissa nel match di ritorno, hanno avuto un peso sull’andamento delle due partite, questo è inevitabile. Al tempo stesso, però, va detto che il Milan è sempre stato in gestione della doppia sfida. Va detto pure che gli sbandamenti dei rossoneri sono stati essenzialmente tattici, nel senso che la squadra di Pioli ha scricchiolato in pochi momenti, quando il Napoli ha saputo alzare l’intensità del proprio gioco, ma al tempo stesso non ha mai perso il controllo emotivo delle partite. Quando sembrava stesse per succedere, sono stati decisivi gli interventi di Maignan.

La squadra di Spalletti non esce ridimensionata da questo doppio confronto. O meglio: è chiaro, lo dicono i risultati, che oggi il Milan è una squadra migliore del Napoli in diversi aspetti – fisicità pura e condizione atletica del momento, lucidità negli istanti decisivi. Aspetti che si esaltano negli scontri diretti, negli incastri tra le due squadre. Però il fatto che il Milan, nonostante dei valori evidentemente alti, sia così distante in campionato finisce per certificare i meriti enormi del Napoli visto quest’anno. La Champions è un’altra cosa: si gioca sul breve e sull’emotività e sulla capacità di leggere e cambiare le partite in un nanosecondo. Con una giocata che va al di là della tattica. È proprio in questo che il Napoli può e deve migliorare.

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