ilNapolista

La vittoria tattica di Sarri

Ha schermato Lobotka, ha fatto sì che Osimhen toccasse tre palloni in area, i ruoli di Vecino e Immobile. Spalletti non ha mai trovato contromisure

La vittoria tattica di Sarri
Lazio's Spanish defender Patric goes for the ball during the Italian Serie A football match between Napoli and Lazio on March 3, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

La vittoria tattica, quindi meritata, della Lazio

L’analisi tattica di Napoli-Lazio 0-1 si potrebbe condensare in poche parole: la squadra di Sarri ha difeso meglio rispetto al modo in cui ha attaccato quella di Spalletti. È un discorso puramente strategico: nel contesto di una gara che non è stata indirizzata dalla tecnica e dalla fisicità dei giocatori del Napoli, è stata la squadra meglio disposta a vincere. Insomma, la Lazio ha meritato i tre punti. Ha fatto suo il duello tattico, ha fermato il Napoli – una squadra dai valori superiori – e poi ha trovato un gol tanto improvviso – diciamo pure casuale – quanto bello. Anzi, accecante. Ma in che modo Sarri ha vinto la sua partita a scacchi contro Spalletti? E con quali strumenti la Lazio è riuscita a limitare il Napoli?

Partiamo dall’inizio, ovvero dalle scelte dei due allenatori: moduli speculari – 4-3-3/4-5-1 – e scelte di formazione annunciate. O quasi: Sarri, infatti, ha spostato Marusic sulla destra, inserendo Hysaj sull’altra fascia, e ha confermato le due mezzali tecniche, Luis Alberto e Milinkovic-Savic, affiancandole però a Matias Vecino. Vale a dire a un regista che non è mai stato un regista. A un giocatore fisico che ha incarnato le scelte strategiche del suo allenatore: fare schermo, più che smistare il pallone, davanti ai centrali difensivi, chiudendo preventivamente ogni linea di passaggio. Sono i numeri a dirlo: Vecino è stato il giocatore della Lazio che ha accumulato più eventi difensivi, 9, tra contrasti vinti, palloni spazzati e tiri respinti.

Tutti i palloni giocati da Vecino: in questo campetto, la Lazio attacca da destra a sinistra

Da questa scelta, come detto, è discesa a cascata l’intera partita della Lazio. Anche questo lo dicono i numeri: nel primo tempo la squadra di Sarri ha tenuto il baricentro a 44,21 metri, nella ripresa è rinculata ancora di più, fino a 41,55 metri. Questo, però, non deve trarre in inganno rispetto all’atteggiamento difensivo della squadra biancoceleste: il fatto che tutti i giocatori in campo fossero racchiusi in pochissimi metri – per la precisione: 23 nel primo tempo e 22 nella ripresa – ha fatto sì che il Napoli non potesse avere molta profondità.

Spieghiamola meglio, aiutandoci con le immagini: ieri sera la Lazio non aggrediva il Napoli sulla prima costruzione, ma faceva in modo che Meret e/o i centrali fossero costretti ad allargare subito il pallone. Sostanzialmente, l’obiettivo era evitare che Lobotka ricevesse la sfera la sfera e potesse girarsi fronte porta. Per fare questo, Felipe Anderson e Zaccagni retrocedevano all’altezza del centrocampo, le due mezzali stringevano molto al centro e Vecino – come si vede anche dal campetto in alto – assolveva funzioni di copertura degli spazi.

La Lazio ha pressato in modo blando il primo possesso del Napoli, ma intanto chiudeva ogni linea di passaggio con i centrocampisti

Contestualmente, però, la difesa della Lazio veniva molto su, cioè lasciava molto spazio alle proprie spalle. Era un modo per mettere in fuorigioco Osimhen, o comunque per disinnescare/cancellare in partenza i lanci lunghi verso l’attaccante nigeriano. Che, non a caso viene da dire, ha giocato solo 3 palloni nell’area avversaria in tutta la partita.

Nei primi due frame, praticamente consecutivi, si vede la linea difensiva della Lazio che tiene una posizione abbastanza avanzata: i quattro giocatori in maglia bianca scappano all’indietro solo sul lancio lungo di Anguissa. Sopra, invece, tutti i (pochi) palloni giocati da Osimhen, completamente neutralizzato da Patric e Romagnoli, con l’aiuto di Vecino.

Per il Napoli, inevitabilmente, ricercare degli spazi sulle fasce era l’unica opportunità per evitare spazi più intasati. E infatti il sito specializzato WhoScored ha rilevato che la squadra di Spalletti ha costruito solo il 24% delle sue azioni passando per vie centrali. Meno di una su quattro. Quando gli azzurri aprivano il gioco sugli esterni, Felipe Anderson e Zaccagni retrocedevano di moltissimi metri per evitare che Kvaratskhelia e Lozano potessero affrontare il loro diretto avversario uno contro uno, oppure sfoderare i soliti scambi veloci con il terzino, la mezzala di parte e l’uomo a supporto.

Felipe Anderson raddoppia su Kvaratskhelia, aiutando Marusic

Insomma, la Lazio – quindi Sarri – ha preparato la gara in modo che il Napoli facesse fatica a fare il suo gioco. In alcuni segmenti di partita, ne parleremo, la squadra di Spalletti è riuscita a risolvere questo rebus. a trovare il modo per penetrare in un sistema difensivo così sofisticato e puntuale. Ma questi momenti non sono risultati decisivi perché, come spiegato anche dallo stesso Spalletti nel postpartita, gli azzurri hanno peccato in qualità. Hanno servito male l’ultimo passaggio, hanno concluso in maniera imprecisa, hanno sbagliato alcune scelte a ridosso dell’area di rigore avversaria. In fondo anche la traversa di Osimhen da pochi metri e il successivo tap-in deviato da Provedel sono due errori di misura. In una partita così tattica, in cui la squadra avversaria ha trovato il modo – e quindi ha avuto il merito – di imbrigliarti, certe situazioni fanno la differenza.

Ciro Immobile

L’altro uomo che in qualche modo ha determinato l’atteggiamento della Lazio è stato Ciro Immobile. Che, semplicemente, non ha giocato alla sua maniera. Non ha interpretato il ruolo del centravanti che aggredisce l’area avversaria, piuttosto si è mosso come pivot, ha agito primo riferimento a cui dare il pallone, su cui poggiarsi per far risalire la squadra. Sembra incredibile visto che parliamo di Immobile, eppure l’attaccante che ha segnato più gol nella storia della Lazio ha effettuato la metà scarsa dei suoi tocchi (20 su 42) nella propria metà campo. Sì, avete letto bene: non stiamo parlando della trequarti, ma addirittura della metà campo.

Tutti i palloni giocati da Immobile. Solo 4 nell’area di rigore del Napoli.

Questo è un altro punto da segnare alla Lazio, al suo piano tattico: il piano partita evidentemente contenitivo orchestrato da Sarri non si è esaurito solo in una certa interpretazione della fase difensiva, piuttosto ha cercato di seguire un piano anche in fase di possesso. E il piano, per l’appunto, era quello di muovere Immobile e così di far muovere la difesa del Napoli. Una sorta di disordine indotto. Da questo punto di vista, però, va detto che il sistema della squadra di Spalletti ha retto piuttosto bene: solo 5 tiri complessivi concessi alla Lazio, di cui 3 da fuori area e uno su palla inattiva. Inoltre, 2 di questi tentativi sono arrivati dopo il minuto 85′, a gara tattica già abbondantemente finita.

Questo cosa vuol dire? Semplice: che il Napoli ha meritato la sconfitta, come detto, ma non ha difeso male. Anzi, in realtà la Lazio ha costruito solo 3 conclusioni nitide e pulite nell’intera gara del Maradona. Una ogni 30 minuti di gioco, in media. Sono numeri bassissimi, che in qualche modo mostrano come la squadra di Spalletti debba considerare e pesare questa sconfitta con relativa serenità: senza il colpo di testa timido di Kvaratkskhelia e la successiva botta di Vecino, i numeri – ma anche le sensazioni – suggeriscono che la Lazio avrebbe fatto moltissima fatica a segnare.

Cosa avrebbe potuto fare il Napoli?

In virtù di tutto questo, anche se sembra un paradosso, si può dire che quella incassata dal Napoli contro la Lazio sia una sconfitta offensiva. Cioè, è arrivata al termine di una partita in cui la squadra di Spalletti è stata limitata, anzi bloccata, dagli avversari. E non ha saputo trovare risorse nuove e diverse per diventare più pericolosa. Non a caso, viene da dire, anche le altre due gare perse in stagione – contro Liverpool e Inter – sono arrivate al termine di gare in cui il Napoli non ha segnato. E anche il pareggio contro la Fiorentina è arrivato a reti bianche.

Eppure il modo di far male all’avversario c’era, come ha spiegato anche Spalletti nel postgara: il sistema difensivo della Lazio andava forzato cercando di muovere il pallone più velocemente, aumentando contemporaneamente l’intensità e la qualità del gioco. Come detto, è successo in alcune occasioni: nel primo tempo, dopo il buon inizio della Lazio, il Napoli è riuscito ad alzare un po’ il ritmo del suo pressing, non ha permesso alla Lazio di uscire in modo pulito e ha liberato Zielinski al tiro:

Il regista di quest’azione è il gegenpressing

Nella ripresa, invece, un’impostazione a tre con Anguissa nel ruolo di braccetto di destra ha mandato fuori giri il sistema delle marcature e delle scalate della Lazio, così si è liberato lo spazio per attaccare sulla fascia destra e poi quello per trovare di nuovo Zielinski alle spalle del suo controllore, sulla sponda di Osimhen:

Cosa può fare una variabile tattica

Infine, dopo il vantaggio della Lazio, è arrivata l’azione tatticamente più bella del Napoli: palla verticale di Lobotka per Elmas alle spalle del centrocampo della Lazio, azione in quattro contro tre gestita in modo errato dal centrocampista macedone, che è andato al tiro nonostante avesse diverse opzioni di passaggio piuttosto comode.

Un’azione con tanto spazio, però gestita male

Al di là degli errori di misura e di scelta di cui abbiamo parlato qualche paragrafo più su, è evidente come le migliori azioni del Napoli siano arrivate quando la squadra di Spalletti è riuscita a verticalizzare velocemente. A trovare gli uomini dietro il reticolato difensivo predisposto nell’area del centrocampo. Per farlo, al Napoli sarebbe servita più freschezza e rapidità nella trasmissione del pallone, oppure – come nel caso della prima azione – una maggiore foga nel portare il pressing sulla costruzione avversaria. Anche perché, come detto finora, l’obiettivo tattico – piuttosto palese, per altro – della Lazio era rallentare, anzi addormentare la partita. In un contesto più vorticoso, la squadra di Sarri non avrebbe mai potuto reggere la forza d’urto del Napoli.

Il finale con due punte

Per provare a recuperare il match, Spalletti ha prima inserito un incursore – Elmas – al posto di Anguissa, poi ha fatto all-in: Ndombélé e Simeone per Lobotka e Zielinski. In questo modo, il Napoli è passato dal 4-3-3 a una sorta di 4-4-2 (o anche 4-2-4) iperoffensivo che però non è nelle corde di questa squadra. E che forse non è stata la scelta giusta per questa partita, anche se solo per l’ultimo quarto d’ora. Per un semplice motivo: la Lazio ha costruito la propria gara e la propria supremazia tattica a centrocampo, un reparto che invece è stato completamente svuotato da Spalletti con i cambi di cui abbiamo parlato.

Nel cerchio giallo, a centrocampo, ci sono cinque giocatori della Lazio.e solo uno del Napoli. Quest’uomo, tra l’altro, è Giovanni Simeone: un centravanti.

Anche in questo caso i dati non mentono: nel periodo di partita in cui si è schierato con due attaccanti e due centrocampisti, ovvero tra l’82esimo e il 93esimo, il Napoli non è riuscito a tentare neanche una conclusione verso la porta di Provedel. Ancora più significativo, se vogliamo, è stato l’ultima sostituzione con annesso cambio di sistema tattico: con Zedalka al posto di Olivera, Spalletti ha disegnato una sorta di 3-4-1-2 di pura disperazione. Al di là della consistenza e della sensatezza di questa mossa, ha abiurato la scelta che aveva fatto solo dieci minuti prima.

Conclusione

Soprattutto se guardiamo a queste ultime evidenze, è piuttosto semplice dedurre che il Napoli sia incappato in una serata in cui ha faticato a trovare alternative. Anzi, diciamola meglio: la squadra di Spalletti, depotenziata in attacco dalla grande gara difensiva degli avversari, non è riuscita ad alzare i ritmi con continuità e alla fine ha denunciato mancanze di alternative tattiche, oltre a una certa dose di imprecisione e sfortuna nelle poche occasioni costruite.

Dopo un filotto di vittorie così importante, ci sta frenare contro un avversario di buonissimo livello. Contro una squadra che, per altro, ha indovinato perfettamente il piano tattico. Per Spalletti e i suoi uomini la sconfitta in sé è forse eccessiva, dopotutto abbiamo già detto che la Lazio ha costruito davvero poco in fase offensiva. Ma se ci concentriamo sull’analisi tattica pura, dobbiamo riconoscere che tra un ipotetico 0-0 e lo 0-1 maturato ieri al Maradona non ci sarebbe stata grande differenza.

È chiaro che, in vista del finale di campionato, Spalletti dovrà ricominciare a lavorare sulla varietà e sulla variabilità offensiva. Certo, le avversarie da fronteggiare non manifesteranno la stessa qualità né la stessa sofisticatezza tattica della Lazio di Sarri, ma è chiaro che il Napoli non potrà permettersi di essere sempre brillante in ogni partita che giocherà, sia in campionato che in Champions. Sarà necessario che arrivi qualche altra vittoria sporca, e quindi diventeranno fondamentali il rientro di Raspadori, un calciatore in grado di sparigliare le carte tattiche della squadra azzurra, e il ricorso a rotazioni più accentuate, soprattutto nel reparto offensivo. Per dirla brutalmente: è difficilissimo bloccare il Napoli, e in pochi ci riusciranno. Proprio per questo, però, Spalletti dovrà evitare che ciò accada. Finora c’è sempre riuscito, quindi c’è solo da riflettere, non da essere critici o catastrofisti.

ilnapolista © riproduzione riservata