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Ambra: «Ho sofferto di bulimia. Per aiutarmi mia madre mi lasciava post-it ad altezza vomito»

A Sette: «È come avere un tumore all’anima. Non c’è una cura uguale per tutti: è un processo personale che va attraversato altrimenti non te la levi di dosso».

Ambra: «Ho sofferto di bulimia. Per aiutarmi mia madre mi lasciava post-it ad altezza vomito»
Roma 22/10/2016 - Festival Internazionale del Film di Roma / foto Insidefoto/Image nella foto: Ambra Angiolini ONLY ITALY

Su Sette, settimanale del Corriere della Sera, un’intervista ad Ambra Angiolini. Quando era adolescente è stata un’icona di “Non è la Rai“. Venne presa di mira da critici e femministe. Oggi è un’attrice stimata.

«Ho iniziato senza capirci niente. Volevo ballare: i miei lavoravano tanto, la danza era un modo per non stare in strada. Quando il successo è esploso mi tormentava il fatto di essere famosa senza sapere perché. Non ero la più brava, né la più bella: non mi sentivo speciale. Desideravo un mestiere, qualcosa che avesse a che fare con una scelta mia. Sembravo incazzata con tutti, ma lo ero con me stessa. Quando la televisione mi ha voltato le spalle invece che disperarmi mi sono detta: “Ora posso cercarmi un lavoro”».

Ambra parla di anni in cui è rimasta senza lavoro ma aggiunge che non ha mai smesso di darsi da fare per trovare la sua strada.

«Le persone che si fanno il culo mi affascinano. Essere famosi non è un mestiere, dev’essere il risultato del lavoro che fai».

Parla di come ha imparato a proteggersi dai risvolti dolorosi della fama:

«Da qualche anno metto in atto una scissione: ho capito l’importanza del silenzio quando sembra che parlino di me e invece stanno mettendo in piazza un’idea di me. Così come lo studente bullizzato a scuola non deve credere al motivo per cui viene bullizzato: se dai credito a quella roba perdi di vista te stesso, e a quel punto di te chiunque fa carne da macello».

Le critiche all’inizio furono violentissime. Ambra le ricorda tutte.

«Della prima ricordo anche le virgole: “La ragazzina esce dalla porta tutta palme e piscina e, con mossa navigata, si siede sulla poltrona come la più risolta delle Lolite”. Io Lolita neanche l’avevo letto. Lì per lì piangi, sei inconsolabile: da piccola è normale. Poi ho recuperato il romanzo di Nabokov e ho detto: “Fermi tutti però: qua stanno dicendo un’altra cosa”. E quella cosa non era giusta, non ero io. In quegli attacchi c’era un problema di cultura, ignoranza».

Ambra continua:

«Col tempo ho smesso di pensare solo a me stessa: ho cercato di fare delle scelte che smuovessero qualcosa nelle persone. Solo così ho capito che questo lavoro poteva andare avanti, crescere con me. Prima pensavo a difendere me stessa e facevo casino: replicare a una bugia non fa altro che amplificarla».

Ambra è molto apprezzata ed amata dalla comunità LGBT, la definisce «la mia famiglia», racconta che «con loro mi sento al sicuro» e parla dell’omofobia ancora presente in Italia.

«L’omofobia non ha senso: è la cattiveria ad essere contro natura, è l’essere accaniti contro chi è felice che è sbagliato. Trovare il mostro quando il mostro non c’è è una forma di perversione».

Ma lancia anche un allarme.

«Il pericolo adesso è che la questione diventi un fatto commerciale. Quando entrano gli interessi economici arriva l’obbligo a manifestarla sempre. Come stai in quel corpo? È la domanda che mi faccio e faccio agli altri. Restare incastrati a nostra volta nell’ossessione per l’immagine, anche se in modo rovesciato, non trasforma le cose. Vorrei che l’immagine fosse una parte del racconto, non ciò che ci definisce. Qualcosa che caratterizza ma non categorizza».

Ambra ha un passato di bulimia. Lo ha raccontato nel libro InFame.

«Da piccola vidi un film in cui c’era una ragazza a una festa in cui tutti erano benvestiti e si divertivano. Le veniva una crisi di panico: prendeva a mangiare qualsiasi cosa dal buffet, poi correva in bagno a vomitare tutto. Quella scena mi è entrata in testa e quando ho cominciato a non stare bene l’ho copiata. La bulimia ha reso il mio corpo colpevole di essere diventato diverso rispetto a quello con cui ero diventata famosa. Un giorno in aeroporto vedo una rivista con la mia faccia. Titolo: “Ambra scoppia di successo”, e “scoppia” era tra virgolette. Poi vado in autogrill e la signora delle pulizie mi dice: “Ma va, mica sei grassa”. Ho capito che gli effetti di questa situazione erano sotto gli occhi di tutti».

Racconta come ha reagito.

«Alla gente interessava solo che tornassi magra, mentre io stavo facendo i conti con la voragine che avevo dentro. Allora ho chiuso gli occhi: non potevo farmi distrarre da quella roba, non potevo dare retta a loro prima di aver capito cosa mi stesse capitando».

Oggi è impegnata in prima persona nei centri specializzati.

«È come avere un tumore all’anima. Non c’è una cura immediata, uguale per tutti: è un processo personale che va attraversato fino in fondo. Se ti anestetizzi la malattia diventa te e non te la levi più di dosso. Alle ragazze dico:
“Cominciate a sfilarvela e a tenervela accanto. Farà un pezzo di strada con voi ma a un certo punto le lascerete la
mano e se ne andrà”».

I suoi come l’hanno aiutata?

«Mia madre mi lasciava bigliettini, Post-it ad altezza vomito. O delle canzoni. Lì per lì mi facevano sentire in colpa,
poi è stato importante sentire che non c’era giudizio, che per lei io non ero la mia malattia. Ho cominciato a pensare che la bulimia fosse qualcosa da cui potevo allontanarmi».

 

 

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