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Lillo: «Mi pento di aver buttato quattro anni della mia vita dentro una sala da biliardo»

Al Messaggero: «Dai 16 ai 20 anni ho fatto solo quello, studiavo pochissimo. Da piccolo ero obeso, mi prendevano in giro pesantemente».

Lillo: «Mi pento di aver buttato quattro anni della mia vita dentro una sala da biliardo»

Su Il Messaggero un’intervista a Pasquale Petrolo, in arte Lillo. Negli anni ’80, insieme a Greg, ha fatto parte di una band di rock demenziale, “Latte e i suoi derivati” e da allora si sono esibiti in concerti, spettacoli in teatro, tv, radio e cinema. Le prime due edizioni di “Lol” hanno avuto un successo enorme. Dal 19 dicembre sarà online su Prime Video con la puntata speciale di “Lol XMas”. Ha appena compiuto 60 anni.

«Che botta. Ancora non ci credo. Non riesco a dirlo questo numero: sono un immaturo cronico».

Lillo racconta di quando comunicò ai genitori di voler intraprendere la strada dello spettacolo. La presero malissimo.

«La mia non era una famiglia povera ma di sicuro non sguazzavamo nell’oro: l’unico stipendio era quello di papà, che faceva il poliziotto. Mamma era casalinga e stava dietro a noi tre figli. Per loro, quindi, un lavoro sicuro era molto importante e quando dissi a mio padre che volevo fare l’artista iniziammo ad avere grandi scontri e discussioni. Lui purtroppo adesso non c’è più. È morto 25 anni fa. Il bello è che adesso gli direi che aveva ragione a non incoraggiarmi. Non è un lavoro facile, il mio. Troppo precario».

Ha studiato come fumettista. Ha appena pubblicato un libro a fumetti, “La banda delle mezze calzette”, in cui affronta il tema del bullismo. Lillo racconta che ha vissuto il bullismo sulla sua pelle.

«Da piccolo ero obeso e mi prendevano in giro pesantemente. Quel tipo di offese uno se le porta dietro a lungo».

È vero che ha vissuto più volte fasi di depressione? Lillo risponde:

«Sì. Per questioni personali o familiari mi è successo. Mi hanno salvato l’ironia e l’autoironia. E il non piangersi addosso».

Qual è stato l’equivoco più frequente sul suo conto?

«Quando io e Greg facevamo i concerti con i Latte e i suoi derivati, sul palco ero agitatissimo, una mina impazzita che si muoveva sempre e comunque, e faceva qualsiasi cosa. Così tutti si convinsero che io pippassi cocaina come un matto. E invece niente. Quelle poche volte che ho provato al massimo uno spinello sono stato dieci volte peggio di tutti. Su mio fisico le sostanze fanno questo effetto. Per me la droga migliore è la passione».

Con il successo di questi anni le sono capitati episodi particolarmente imbarazzanti? Lillo ne racconta uno, legato al Covid.

«A ottobre 2020 ho avuto il Covid-19 che per tre giorni mi ha fatto finire in terapia intensiva. Appena arrivato, e prima della visita del primario, un infermiere si avvicina: “Ti seguo sempre, mi fai ridere un sacco. Non dico una
foto, che adesso stiamo tutti con le mascherine, ma un disegno me lo fai? Certo, gli dico. Poi il primario mi visita e mi dice che stavo peggiorando. A me viene un colpo, ma subito dopo viene l’infermiere: “Lillo, senti siccome ho saputo che vai in terapia intensiva, e non si sa se torni, il disegno me lo faresti subito?”».

Qual è la cazzata più grande che ha fatto?

«Buttare quattro anni della mia vita dentro una sala da biliardo. Dai 16 ai 20 ho fatto solo quello. Studiavo pochissimo e giocavo ore e ore sul panno verde».

Lillo racconta:

«Una volta, cercando di fare il colpo della vita, tirai una palla in fronte a un tipo che per miracolo non mi mandò all’ospedale. Giocavamo nel mio quartiere, Torpignattara, e lui non era proprio un gentleman».

Non giocava a soldi solo perché, dice, «non li avevo». E adesso?

«Non sono ricco, ma non ho più problemi economici».

Lillo racconta un lusso che si è concesso.

«Una bella casa in Maremma e quella dove vivo a Roma, alla Balduina. Nient’altro».

Uno simpatico come lei quand’è che diventa un po’ stronzo?

«Spesso. Pur di dire una battuta rischio quasi sempre di far arrabbiare qualcuno».

A “610” su Rai Radio2 non fate più la gag con il personaggio di Superpazza, il supereroe gay: colpa del politically correct?

«Esatto. L’aria che tira condiziona moltissimo. A Rai2 ci stanno molto attenti, certi sketch ci chiedono di non farli. Solo che a me sembra una forma di razzismo questa super tutela: se uno vuole ridere di un etero deve poter fare altrettanto con un gay».

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