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È ai Mondiali che si fa la storia, il resto è contorno. Messi lo ha capito

Sono l’Evento. Lionel li ha scelti come teatro della sua trasfigurazione, si è tuffato nella tinozza di sangue e merda. Qatar 2022 avrà anche conseguenze geo-politiche

È ai Mondiali che si fa la storia, il resto è contorno. Messi lo ha capito
Argentina's forward #10 Lionel Messi is congratulated by FIFA President Gianni Infantino during the trophy ceremony after Argentina won the Qatar 2022 World Cup final football match between Argentina and France at Lusail Stadium in Lusail, north of Doha on December 18, 2022. (Photo by Kirill KUDRYAVTSEV / AFP)

I diritti umani, che comprendono i diritti a essere omosessuali e a vivere la propria omosessualità senza che sia considerata un reato. La sicurezza sul lavoro. La enorme – non meno che enorme – questione della terribile decadenza dell’Europa e delle sue istituzioni al centro di una mega inchiesta di corruzione legata al Qatar e ai Mondiali. Abbiamo scoperto, semmai ce ne fosse bisogno, che l’integrità del Vecchio Continente vale più o meno trenta denari: facciamo sessanta. L’integrazione: perché i festeggiamenti nelle città europee da parte dei tifosi marocchini sono stati anche violenti, soprattutto i primi in Belgio. La censura. Il potere delle immagini televisivi e il potere di stabilire cosa diffondere e cosa no. Ci saranno tanti temi che non abbiamo citato. E questo per rimanere – molto brevemente – soltanto agli aspetti extracalcistici del Mondiale.

Cui vanno aggiunti quelli calcistici. Su tutti la trasformazione di Lionel Messi. Perché di trasformazione si è trattato. Un calciatore irriconoscibile rispetto al passato, soprattutto per il suo atteggiamento in campo, per il suo peso specifico nella squadra. Messi è sempre stato un fuoriclasse, è nato con le stimmate del fuoriclasse. Ma ha sempre vissuto e agito nella Costa Smeralda del calcio. È stato la punta di diamante di una delle squadre più forti di tutti i tempi. E al di fuori del grande Barcellona, non aveva mai vinto nulla. Fatta eccezione la Coppa America dello scorso anno. Iniesta, Xavi, Busquets avevano trionfato senza Messi: due Europei e un Mondiale. Messi senza di loro, mai. Quando il Barcellona di Setien prese otto gol dal Bayern Monaco, fecero il giro del mondo le immagini di Messi negli spogliatoi, all’intervallo, con lo sguardo perso nel vuoto, come se non si rendesse conto di quel che stava avvenendo e del tutto avulso dal contesto.

Messi non è né sarà mai un leader politico prestato allo sport, come lo sono stati Maradona e Muhammad Alì. Ma non è questo che che gli si chiedeva. Gli si chiedeva di mostrare doti di leader. Era questa lacuna – lacuna gravissima agli occhi di chi scrive – che rendeva così opprimente il paragone con Maradona. Questa e un’altra: la mancanza di un Mondiale. Perché – checché se ne dica – il calcio sono i Mondiali. Il cuore, l’anima del football sono i Mondiali. Il resto è contorno: melenzane a funghetto, puntarelle, ratatouille, fagioli all’uccelletto, friarielli o anche caviale. Sempre contorno è. Anche la Champions. Se Schillaci i suoi sei gol (in fondo inutili) li avesse segnati in Champions, non se lo sarebbe filato nemmeno la mamma. Qualche eccezione ovviamente c’è: George Best, ad esempio, Ibrahimovic, per il futuro forse Haaland. Ma anche Cruyff la storia l’ha cambiata più con quei Mondiali del 74 che con le tre coppe dei campioni consecutive con l’Ajax.

In Qatar, a Qatar 2022, abbiamo assistito a una trasformazione sportiva quasi senza precedenti. Lionel Messi si è trasfigurato. Non in senso spirituale. Ma in senso terreno. Lionel Messi si è verticalizzato. Ha smesso di essere un modello asettico di tecnica sopraffina. Come se fosse un robot. Ricordiamo quando un giornalista spagnolo rivelò qual era il segnale di Messi sul campo. Alzava il braccio. Era il segnale: datemi il pallone. Lui azionava il pilota automatico e o andava in porta o creava un’occasione da gol.

In Qatar Messi non ha mai alzato il braccio. Si è tuffato nell’unica tinozza che dona l’immortalità non solo sportiva: la tinozza di sangue e merda. Si è tirato su le maniche, si è caricato la Nazionale sulle spalle e l’ha portata via dalle secche dove si era incagliata dopo la sconfitta iniziale con l’Arabia Saudita. È stato lui, quando tutti in Argentina erano terrorizzati, a innescare la lunga marcia verso la vittoria con quel rasoterra contro il Messico. E ha superato anche il rigore sbagliato contro la Polonia quando emerse il primo segnale del nuovo Messi: la mano non data a Lewandowski in mezzo al campo. Poi il gol all’Australia negli ottavi di finale. E soprattutto il post-partita contro l’Olanda: l’atteggiamento da bullo con Van Gaal, il “bobo” diventato meme. Messi del tutto inedito. Non si era mai visto, si è visto ai Mondiali. Ha vinto da leader, da trascinatore. Ha giocato a tutto campo. Ha lottato. Ha protestato. Si è sporcato le mani. Calcisticamente, sportivamente, un processo che segna un prima e un dopo.

Allo stesso tempo i Mondiali hanno sbattuto in faccia a Ronaldo l’amara realtà: non ha più l’età né la forza per essere il reginetto, il principino. Se intende il calcio solo nella misura in cui tutti i palloni deve averli lui e segna solo e sempre lui, non c’è più posto in vetrina per Cristiano Ronaldo. Messi ha compreso quel che lui non vuole neanche ascoltare. E ne sta pagando amaramente le conseguenze. E anche tutto questo lo abbiamo visto ai Mondiali.

Abbiamo visto la strepitosa parata di Martinez su Kolo Muani. Abbiamo visto il Marocco battere il Belgio, eliminare la Spagna, mettere paura alla Francia. Con tanti calciatori sconosciuti o snobbati, come il nostro Amrabat per esempio. Ci siamo sorbiti anche discettazioni sociologiche sul valore della presenza delle madri marocchine. Perché – punto fondamentale – la narrazione è plasmata dal risultato. Sempre. Non avviene mai il contrario. Vince il Marocco? E allora va tutto bene quello che fanno i marocchini. Un po’ come Fantozzi costretto a bere litri di acqua minerale gassata al casinò dal megadirettore galattico di turno che aveva vinto al tavolo proprio mentre lui stava bevendo. I giornalisti, il sistema informativo, in fondo non sono altro che un’incarnazione dei pittori di corte. Con le fisiologiche eccezioni. È un globale “attacca il ciuccio dove vuole il padrone” dove il padrone è la realtà con i suoi vincitori.

Il Mondiale è quella manifestazione in cui Benzema, il Pallone d’oro, il calciatore considerato fino a pochi mesi fa il più forte di tutti, il miglior centravanti del pianeta, viene trattato come un Lupetto Mannari qualsiasi. “Se vuoi rimanere, rimani, ma per noi è meglio se vai casa. Anche perché senza di te andiamo decisamente meglio”.

Qatar 2022 ha ribadito la centralità dei Mondiali. In campo e fuori. Sono stati un evento geo-politico, con ricadute giudiziarie – come abbiamo visto e ahinoi vedremo – che potranno modificare il corso della storia. Sono stati il momento dell’incoronazione definitiva di Messi. Il Qatar è stato per Messi quello che fu Kinshasa per Muhammad Alì. E a chi vi dice che Messi era il più grande già prima, sorridete e passate avanti. Anzi correte a gambe levate. Perché da un momento all’altro potrebbe risucchiarvi nei discorsi complottistici che tra pochi giorni ripartiranno come se nulla fosse mai accaduto. Torneremo alle mestizie di casa nostra. La quotidianità. La routine. Il grigiore.

In fin dei conti il paraguru di Infantino ha dimostrato di non aver visto poi in maniera così sbagliata con quella sua idea di giocare il Mondiale ogni due anni. È il concetto base del nostro tempo: tutto quel che funziona, lo eroghiamo a velocità sempre maggiore. È il principio dell’alta velocità trasferito su ampia scala. A nostro avviso è la pausa che rende unici i Mondiali. Però comprendiamo Infantino, il suo ragionamento. Quando la storia passa e fa rumore, si sente. E ai Mondiali si sente sempre.

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