Nibali: «Le Farfalle? Nel ciclismo ne abbiamo viste di tutti i colori, ma le atlete soffrono di più»
A Specchio: «Oggi il ciclismo è diverso. I giovani non hanno bisogno di crescere, arrivano già pronti, sanno già tutto. Io avevo tutto da imparare».

Val Thorens (Francia) 27/07/2019 - Tour de France / foto Panoramic/Insidefoto/Image Sport nella foto: Vincenzo Nibali ONLY ITALY
Su Specchio un’intervista a Vincenzo Nibali. Dopo il ritiro dal ciclismo, a 38 anni, lo Squalo sarà “ambassador” e consulente tecnico per la squadra Q36.5 guidata dalla missione “Innovation for Human Performance”. Un team che nel 2023 correrà in seconda divisione con l’ambizione di fare il salto nel World Tour in cinque anni.
A Nibali viene chiesto quanto gli è costato dire stop al ciclismo dei professionisti.
«Nulla. Perché è stata una decisione maturata nel tempo, dopo 18 anni trascorsi a gareggiare è normale che andasse così. L’ultima corsa è stata con il team “Astana” (al Lombardia per il World Tour). Giusto così, con quella maglia dal 2013 al 2016 ho ottenuto i risultati più importanti. Ora è arrivato il momento di restituire quello che ho sottratto alla famiglia, agli amici, a tutto quello che ho sacrificato».
Nibali commenta la vicenda delle “Farfalle” della ginnastica ritmica, che ha acceso i riflettori sull’alimentazione. Gli viene chiesto com’è il rapporto dei corridori con il cibo.
«Nello sport può diventare un problema. Noi ne abbiamo viste di tutti i colori. Ma in questi anni ho capito che le atlete soffrono di più. E le più rischio sono le persone fragili. Perché se viene un direttore sportivo e ti dice in modo poco garbato “Guarda come sei grassa o grasso”, la questione riguarda sia gli uomini che le donne, o ci si rifugia nel cibo o lo si rifiuta del tutto».
Nel tempo libero segue altri sport? Il calcio?
«No, no. Non seguo il calcio. Sono un grande appassionato, invece, di Formula 1, di moto e di rally. Tifo per la Ferrari e quest’anno la Ducati mi ha fatto sognare. Un italiano su una moto italiana. Con Pecco il Mondiale è stato un vero spettacolo. Era dai tempi di Giacomo Agostini che il nostro paese non vinceva il titolo».
Nibali ascoltava musica in bicicletta?
«A volte sì, ma solo in salita. In pianura mai, se stai facendo esercizi devi concentrarti. Se pedali con compagni di squadra o altre persone parliamo. In città evito proprio, è davvero troppo pericoloso».
Osservando i campioni di oggi, come è cambiato il suo sport?
«Il loro è un ciclismo diverso. Si è spostata la fascia di età. I giovani oggi non hanno bisogno di crescere, arrivano agli appuntamenti importanti già pronti. Perché nelle categorie minori sono già seguiti da allenatori e preparatori. Sanno già tutto. Io, invece avevo tutto da imparare, per me era un mondo completamente nuovo. Ho scoperto tutto strada facendo».
Nibali commenta le nuove stelle.
«Pogacar è il corridore più completo, il più forte. In salita al Tour Vingegaard ha fatto vedere quanto vale. Evenepoel invece è più da classiche, nelle crono è il più esplosivo».
Il ricordo più bello della sua carriera?
«Il mio primo Giro d’Italia. Averlo portato a termine con la maglia Rosa sulle spalle è stato un traguardo incredibile. Perché io sono cresciuto guardando il Giro alla televisione. Con quel successo ho coronato il mio sogno da bambino, quello che volevo».
Il ciclismo italiano è in crisi?
«No. Ci sono meno talenti. E dobbiamo riconoscere che i corridori italiani hanno bisogno di tempo, maturano più lentamente rispetto agli stranieri. Adesso però gli azzurri vincono in pista. Negli ultimi anni ci siamo abituati a vedere un ricambio veloce nel professionismo, quindi è possibile che tra due o tre anni potremo avere un italiano molto interessante».