Boniek: «Maradona vinceva i tornei da solo, Messi ha bisogno della squadra»

Intervista ad As: «Nel calcio di oggi la differenza non la fa un giocatore. Può esserci qualcuno decisivo, certo, ma per vincere devi trascinare».

Polonia Boniek

Db Bologna 19/06/2019 - Europeo Under 21 Italia 2019 / Italia-Polonia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Zbigniew Boniek

Su As una lunga intervista a Zbigniew Boniek, vicepresidente Uefa ed un incredibile passato da attaccante, tanto da essere considerato il miglior giocatore della storia della Polonia fino all’arrivo di Lewandowski. Parla del Mondiale in Qatar, indicando le squadre che pensa siano favorite per la vittoria: Brasile, Germania, Argentina e Spagna. Ma nessuna vincerà grazie al traino di grandi giocatori: oggi i calciatori non fanno più la differenza, com’era un tempo.

«Non credo che nel calcio di oggi la differenza la faccia un giocatore, mi riferisco semplicemente ai grandi giocatori che tutti conosciamo. Potrebbe esserci qualcuno decisivo, ovviamente, per le sue giocate e abilità, ma per vincere le partite devi tirare la squadra. I tempi di Maradona sono passati. Diego potrebbe vincere i tornei da solo, ora Messi ha bisogno della squadra per farlo. Potrebbe essere una buona occasione per l’Argentina, sì».

Quanto alla Polonia, l’obiettivo minimo, per Boniek, è superare la fase a gironi. Parla dello stato del calcio in Polonia.

«Siamo lontani dai campionati e dai club potenti. Diciamo che con un budget di 30-35 milioni non puoi costruire e non puoi avere squadre molto forti, tutte le squadre sono piene di giovani. Se giocatori come Lewandowski fossero stati in Polonia, il campionato sarebbe stato più competitivo. Ma non poteva essere».

Boniek parla della sua infanzia.

«La mia infanzia è stata molto tranquilla, molto bella, assolutamente normale come quella di tutti i bambini. Ho sempre praticato molti sport, non solo il calcio. Anche pallamano o hockey su ghiaccio. All’età di 12 anni in Polonia dovevi iscriverti a un club sportivo in base alle tue capacità. I più veloci sceglievano l’atletica, altri il pugilato e io scelsi il calcio. Da bambino non mi mancava niente, i miei genitori e mio fratello erano molto bravi».

Parla di Platini giocatore:

«Ha vissuto tre anni straordinari alla Juventus. È stato decisivo ed è stato quello che ha segnato più gol. La sua posizione era fondamentale nella squadra. Era un giocatore brutale, un ottimo compagno di squadra e un grande amico. Se lo meritava assolutamente e in quel momento ero felice per lui».

Si racconta che Boniek fumasse tanto, anche nell’intervallo delle partite. Lui nega.

«Non l’ho mai fatto. Mi piaceva accendermi una sigaretta ogni tanto, magari una dopo pranzo, ma mai dopo l’attività fisica. Ero sportivo al cento per cento e non ho mai avuto problemi ai polmoni. Ho fumato di tanto in tanto e l’ho fatto per molti anni. Successivamente ho smesso di farlo a causa di tutti i messaggi che dicevano che era molto dannoso per la salute. Tuttavia, non sono mai stato infastidito da quelle invenzioni sul fumo negli spogliatoi. È divertente».

Lo ha sempre accompagnato la fama di calciatore ribelle.

«Adoro vincere. Sono sempre andato al massimo in qualsiasi partita e non credo sia stato così. Sì, forse qualche discrepanza, come con Erickson, ma era molto giovane e devo dire che all’inizio soffriva il carisma dei romanisti. Abbiamo avuto attriti. Ma niente di più: alla fine non credo sia mai stato un problema. Quello che vogliono tutti gli allenatori è avere giocatori che ti aiutino a vincere le partite».

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