Boksic: «Il più forte di tutti? Waddle. L’unico a far impazzire Maldini»

A L'Equipe: «In Italia la cosa più importante era non perdere. Potevi giocare tutti dietro e non importava. Lì avevo sempre dolori, in Francia mai»

boksic

Su L’Equipe un’intervista all’ex calciatore croato Alen Boksic. Ha giocato nella Lazio e nella Juventus e anche nel Marsiglia. Gli viene chiesto se segue ancora le partite del Marsiglia.

«In generale, non seguo molto il calcio, oggi. Ma da quando c’è Igor Tudor come allenatore, sì, guardo i risultati».

Di Marsiglia dice:

Boksic: «È l’unica città in Francia che vive così tanto per il calcio. In Italia, questo accade spesso, ma in Francia credo che sia un caso unico. Dopo di che, tutto cambia rapidamente, nel calcio».

Quelli legati al Marsiglia sono bei ricordi, dice Boksic.

«All’epoca era il club più all’avanguardia, a tutti i livelli, insieme con il Milan. Con il Marsiglia, per esempio, non ho mai preso un aereo di linea, c’erano solo voli privati ed era il 1992! Tapie era un fenomeno. In tanti lo hanno criticato, hanno detto che era un personaggio troppo ingombrante per un allenatore o per i giocatori, ma in fondo era il padre di tutti noi. È stato in grado di ottenere il meglio da ognuno di noi, e forse anche un po’ di più. Aveva un entusiasmo impressionante, era molto intelligente. Aveva capito che con i giocatori era meglio non essere troppo cattivi».

Racconta di una volta che il presidente Tapie lo chiamò. Era l’aprile 1993, lui era infortunato al piede.

Boksic: «Avevo giocato una partita molto importante in casa contro i Rangers Glasgow, non bene. Già la partita prima, a Nantes, avevamo vinto 2-0, avevo segnato due gol ma non ero stato bravo, avevo segnato solo perché eravamo davvero più forti degli altri. Non correvo, il piede mi faceva davvero male. Poi dopo Glasgow, giochiamo a Saint-Étienne dove sono stato di nuovo male. La sera stessa, il telefono di casa squilla. Mi alzo, rispondo: “Buonasera Alen, è il tuo presidente”. Rispondo: “Oh, buonasera presidente, come sta?”. E lui inizia a gridare: “Non ti chiamo per chiederti come sto, non importa come sto io! Ma come stai tu?”. Rispondo che va bene e lui continua: “No, non va bene, sei stato zoppo per tre partite!”. Gli dico: “Presidente, mi fa male il piede”. Il dottore non gliel’aveva detto, ovviamente. Mi dice: “Hai fatto una radiografia? No? Allora la fai questa settimana, ti alleni come vuoi o non ti alleni, ma sabato, per la partita, voglio che tu sia bravo!”. Il giorno dopo ho fatto una radiografia, c’era una frattura, era lì da tre settimane. Così ho stretto i denti, mi sono mosso, e in ogni partita di campionato ho segnato un gol. L’unica partita in cui non ho segnato è stata la finale di Champions League contro il Milan. Ma senza quella telefonata sarei rimasto tranquillo a 15 gol e mi sarei nascosto fino alle vacanze. Sono arrivato a 23 gol perché mi aveva dato la giusta motivazione. Questa è l’importanza di un club, di un presidente. Anche l’allenatore era un personaggio…».

Anche se, aggiunge, in realtà Tapie era allenatore e presidente assieme.

«Anche se a volte non eravamo sicuri di chi fosse l’allenatore, perché Tapie era presidente e allenatore allo stesso tempo. Mister Goethals aveva esperienza, perciò sapeva come sopravvivere in questo club. Era lì, fumava sempre, come l’ispettore Colombo. All’inizio della stagione non credeva completamente in noi. Desailly era arrivato da Nantes, io da Spalato. L’allenatore disse: “Dove andremo con questi ragazzi? Non si può vincere la Champions League con i bambini!”. Non credeva che potessi sostituire Papin, si lamentò con il presidente. E alla fine, vincemmo».

Chi è il giocatore più forte con cui hai giocato?

«Senza dubbio Chris Waddle, anche se non ho mai giocato con lui, mi ci sono solo allenato, ma faceva delle cose… Ricordate la partita contro il Milan? (1-0, nel 1991). È stato l’unico giocatore che ha fatto impazzire Paolo Maldini in tutta la sua carriera! Ed era il Maldini della grande era, aveva 25 anni e gambe di fuoco. Sono innamorato di Waddle, un talento pazzo e un ragazzo fantastico. Ha lasciato Marsiglia per lo Sheffield nel 1992, quindi non era più lì nel 1993. Ma prima della finale venne con noi per cinque giorni in hotel. Si allenò con noi perché era importante. Oggi riesci a immaginare un giocatore di un altro club che viene ad allenarsi con un’altra squadra prima di una finale di Champions League? Per me è il più forte di tutti e l’ho sempre considerato molto sottovalutato. Anche se il suo trasferimento dal Tottenham all’OM costò molto».

La tua stagione più bella?

Boksic: «Per me, Marsiglia, dal 1992 al 1993. Sono stati i due anni più belli della mia vita. In Italia era diverso, la cosa più importante era non perdere, il pareggio andava bene a tutti, quindi potevi giocare tutti dietro e non importava. È una cultura diversa, con molto lavoro. Si doveva lavorare ma… in Francia, in due anni, non ho mai avuto un solo dolore! In Italia ce l’avevo tutto il tempo, ricordo i preparativi pre-stagionali, ogni mattina camminavo come un nonno per cinque o dieci minuti. In Francia, mai!».

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