A Il Foglio Sportivo: «I calciatori non hanno orgoglio né dignità. Li sfiori e si rotolano per terra. Non sopporto neppure gli arbitri, non sono tutti onesti»

Su Il Foglio Sportivo Antonello Sette intervista l’ex calciatore Gianfranco Zigoni, detto Zigo-gol, “il più anarchico e ribelle di quanti hanno professionalmente preso a calci un pallone”. Ha al suo attivo 265 presenze e 63 gol in Serie A con le maglie di Juventus, Genoa, Roma, Verona. Racconta di aver iniziato nella squadra dell’oratorio del suo paese, nel trevigiano. Lo scoprì un osservatore quando era ancora un bambino.
«Non credo di dovergli riconoscere particolari meriti, perché ero così forte che mi avrebbe scoperto anche un cieco».
Da ragazzo Zigoni andava in giro con una pistola nei pantaloni. L’hanno definito anarchico e massacratore del sistema.
«Un po’ anarchico lo sono sempre stato. Un anarchico, però, con dei paletti. Io accetto tutto, meno che un uomo faccia del male a un altro uomo. La guerra, che si combatte in Ucraina, ha dell’incredibile. Ogni mattina, quando mi sveglio, mi domando se sia tutto vero. La libertà è sacra, ma ha dei limiti invalicabili».
Massacratore del sistema?
«Il sistema non mi piace. Né quello che governa il calcio, né quello che sovrintende ai destini del mondo. Gesù è venuto sulla Terra per insegnarci a comportarci nel modo giusto, ma noi non abbiamo imparato niente. Io penso che ci siano stati solo due giusti. L’altro è stato Che Guevara. Li hanno fatti fuori tutti e due».
Nella sua vita c’è stato spazio anche per Padre Pio.
«Avevo otto anni. Mia madre stava morendo. Mio padre e qualcuno dei miei fratelli più grandi avevano scritto una lettera a Padre Pio. Ci rispose. Mia madre riprese a vivere. Non so se sia stato un miracolo a tutti gli effetti. Per noi, sicuramente sì».
Nell’immaginario collettivo Zigoni è quello che è andato in panchina indossando una pelliccia…
«Ancora non capisco le ragioni dello scandalo. Avevo una bellissima pelliccia di lupo, che mi era stata regalata da una tifosa più ricca di me. Prima della partita con la Fiorentina, Valcareggi mi comunicò che non avrei giocato, visto che avevano vinto quella precedente, in cui era rimasto fuori perché mi avevano, tanto per cambiare, squalificato. Io ero un espulso seriale, perché, a latere della partita ufficiale, ne giocavo una mia personale contro le ingiustizie degli arbitri. Chiesi al mister se stesse scherzando o fosse impazzito. Uno dei più grandi giocatori del mondo in panchina? Se è così mister, vedrà qualcosa che occhi umani non hanno ancora mai visto in uno stadio. E mi sedetti in panchina con la pelliccia di lupo e un cappello da cowboy».
Altissimo il suo numero di squalifiche in campo.
«Una volta, indirizzai a un arbitro, di cui non faccio il nome perché non c’è più, insulti di ogni ordine e grado, impegnandomi a non tralasciarne neppure uno. Alla fine della partita, mi preannunciò dieci giornate di squalifica, ma poi nel referto non dedicò ai miei insulti scomposti neppure una riga. Tenga presente che, se non fosse stato per l’allora vicepresidente del Genoa Renzo Fossati, che riuscì a trattenermi, quell’arbitro l’avrei picchiato senza pensarci su. Mi graziò perché aveva capito che in campo l’aveva fatta grossa, facendoci perdere una partita e, di conseguenza, retrocedere in Serie B».
Una volta Zigoni si prese a pugni con Heriberto Herrera.
«Contrariamente a quanto si tramanda, il pugno fui io a riceverlo. La sera prima avevamo vinto una partita in Coppa dei Campioni e lui mi tirò giù dal letto alle sette del mattino, invitandomi ad andare ad allenarmi immediatamente, perché non avevo rincorso il mio difensore, che per tre volte si era sganciato dalla marcatura. Reagii afferrandolo allo stomaco e gridandogli “figlio di puta”. Al di là di questo leggendario scontro, era una gran brava persona, come nel calcio ne ho incontrate poche».
Continua a pensare di essere stato più forte di Pelé?
«Da bambino sono stato più forte di Pelé e di qualsiasi altro. Quando giocavo a pallone nel bronx nel mio paese, erano sempre in sette contro di me. Non sono diventato più forte di Pelé anche da grande, perché ho messo la mia libertà davanti ai sacrifici. Il calcio non l’ho mai amato sino in fondo. Oltre gli allenamenti, non potevi fare niente, neppure mangiare e bere e, men che mai, passare la notte con gli amici. Mi sarebbe piaciuto giocare in Inghilterra. Ricordo che andammo lì a disputare una partita con la Juventus. Noi venivamo da due giorni di ritiro. Loro sono arrivati al campo in motorino, sottobraccio alle mogli e alle morose, si sono cambiati e ci hanno rifilato quattro gol».
Le piace il calcio di oggi? No, risponde Zigoni, non mi piaceva neanche quando ci giocavo.
«Non mi piaceva neppure quando giocavo io ed era molto più serio. Pensi come mi può piacere ora. Quello, almeno nella mia testa, era un calcio dilettantistico. Per me giocare in Nazionale o a Piavon, in Terza categoria, era la stessa cosa. Io non guardo più le partite, eccetto quella che una volta all’anno la Roma gioca a Udine e sono ancora scioccato per i quattro gol dell’ultima disfatta».
E dei giocatori cosa pensa?
«Mamma mia, non hanno né orgoglio, né dignità. Basta che li sfiori, si rotolano per terra, con le mai a coprire la vergogna del volto fintamente stravolto. Io mi rialzavo subito, perché non volevo dare all’avversario la soddisfazione di essere riuscito a farmi male».
E gli arbitri?
«Non sopporto neppure loro. Non credo che tutta la categoria sia onesta, come vorrebbero far credere. Mi domando ancora come si fa a non dare certi rigori, come quello che spettava alla Lazio per la manata in faccia a Lazzari contro il Napoli. Dovrebbero arbitrare tutte le partite Gesù o Che Ghevara, ma evidentemente non è possibile».