ilNapolista

Simeone spiegato dalla teoria dei giochi di Nash

Il suo impegno, la sua fatica, sono premiati da un contesto qualitativo che gli consente di migliorarsi. “Le medaglie le vinci in allenamento. In partita vai solo a ritirarle”

Simeone spiegato dalla teoria dei giochi di Nash
Mg Cremona 09/10/2022 - campionato di calcio serie A / Cremonese-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Giovanni Simeone

Partiamo subito dall’analisi tecnica dei gol, in uno con un paio di considerazioni (sempre tecniche) che sembrano starne a latere ma che in realtà ne sono l’origine, anche se ciò su cui vorrei oggi concentrare l’attenzione è una questione ben più seria: quella che definisco la “questione Simeone”.

°°°°

I tre gol sono molto belli, al solito come combinazione di gesti sia del singolo, sia del collettivo che rende possibili i primi.

Il primo gol nasce da uno sviluppo dell’azione che, ad avviso di chi scrive, è uno dei punti “nodali” della manovra su cui il Napoli sta concentrando le sue trame in questo inizio di stagione.

Mi riferisco al “gioco a due” che, sia a destra che a sinistra, interessa e si concentra sui movimenti dell’esterno basso e di quello alto del 4-3-3.

Infatti, a seconda dello sviluppo dell’azione, l’uno segue (e condiziona) il movimento dell’altro, ed in particolare:

a) se l’esterno alto entra nel campo portando palla, l’esterno basso, che nel frattempo ha già iniziato la corsa per proiettarsi nella zona “aggredita” con la velocità idonea ad accompagnare l’azione, va in sovrapposizione esterna (cioè dietro al compagno che si è accentrato e lungo la linea laterale), vuoi per far allargare la difesa avversaria e “levare di dosso” al suo compagno uno dei due uomini (l’esterno difensivo avversario) che in genere, in raddoppio, dovrebbero seguire il portatore di palla che si è accentrato, vuoi per dettargli il passaggio

b) viceversa, se l’esterno alto si allarga lungo la fascia portando palla, l’esterno basso, sempre con i giri di corsa giusti, va in sovrapposizione interna (cioè entrando lui nel campo ed andando ad occupare la zona tra la trequarti e l’area avversaria) sempre per allargare la difesa avversaria, ma questa volta per “levare di dosso” al suo compagno l’altro dei due uomini (in questo caso il primo centrale difensivo avversario) deputati al possibile raddoppio.

Sono movimenti fondamentali, perché, in un contesto in cui l’avversario non può ovviamente prevedere quale giocata farà il portatore di palla (se premiare la sovrapposizione con il passaggio filtrante, oppure se puntare lui direttamente l’uomo in un classico 1 contro 1), dà sempre due opzioni di gioco a chi ha il possesso del pallone.

Soluzione, questa, che specie quando interessa la “catena di destra” ed in campo c’è Politano, crea quasi sempre occasioni da gol.

Perché Politano ha nel suo Dna la capacità di portare la palla puntando l’uomo riuscendo, tuttavia, con un’improvvisa rapida torsione della gamba sinistra ad eseguire il passaggio al compagno che nel frattempo sta gettandosi nello spazio.

Quando lo fa e decide di premiare la sovrapposizione di Di Lorenzo, lo mette istantaneamente nella condizione di effettuare, dalla linea di fondo, il passaggio per i suoi compagni che nel frattempo hanno riempito l’area (ieri è successo almeno 3 volte, ma è un leitmotiv delle azioni offensive azzurre in ogni partita).

°°°°

Nel primo gol ha la palla Di Lorenzo, che sta salendo per appoggiare una simile azione del Napoli.

Ricevuto il pallone sulla trequarti avversaria, Di Lorenzo guarda Simeone, ed i due già sanno tutto.

Basta, infatti, una rapida occhiata.

Simeone, al solito bravissimo a tenersi in linea con la difesa avversaria e ad iniziare la corsa in quella frazione di secondo che gli eviterà il fuorigioco, scatta a cercare la profondità tra i due centrali, che già sa avranno difficoltà a marcarlo perché mentre lui corre in avanti e faccia alla porta per ricevere il pallone, i difensori sono costretti a correre senza poterlo guardare in faccia, ma solo di tre quarti.

Di Lorenzo esegue il passaggio al solito modo: forte, a rientrare, così che una volta toccato per terra quasi si fermi ad aspettare il controllo di Simeone.

Che arriva in modo perfetto, smorzandolo con un primo tocco con il piatto sinistro, eseguito a mezz’aria e con un leggero saltello perché il pallone rimbalza alto per via della forza che gli ha impresso il compagno,  e poi con eccellente torsione di corpo e gamba lo calcia con il collo interno del piede destro sul palo lontano.

Il secondo gol nasce da un movimento molto simile di Simeone, che ancora una volta – in questo caso complice l’ennesimo strepitoso cross di Mario Rui (ancora una volta per il centravanti) – “chiama” al compagno il pallone nella zona in cui sta scattando sempre tra i due centrali difensivi avversari, che anche in quell’occasione subiscono la difficoltà di non poter difendere “faccia al pallone”.

Il cross arriva sempre con i giri giusti a rientrare, e Simeone impatta la palla con un gol alla Serena.

Sempre quel fantastico movimento a cercare la profondità, quello stesso che ha procurato altre due occasioni da gol (una delle quali su un’imbucata di Ndombele d’esterno, con filtrante rasoterra di 25 metri ad uscire che sembrava effettuato con le mani da quanto erano eccezionali i giri impressi al pallone per arrivare sullo scatto del compagno, n.d.r.).

Sempre eseguito sul lato o sulla zona della difesa “battezzati” deboli dal centravanti del Napoli (per il non coretto posizionamento dei difensori avversari), e per ciò aggredito “chiamando” lì il pallone al compagno.

Sempre senza mai sbagliare il tempo di inizio dello scatto.

Anche il terzo gol è molto bello: Ostigard (su cui ad avviso di scrive Spalletti dovrebbe insistere di più, perché il ragazzo ha un lancio di 50 metri che è in grado di pescare qualsiasi compagno sia nel frattempo scattato con i giusti tempi per poter andare all’uno contro uno contro il difendente avversario), quasi prendendo posizione con passi fatti all’indietro, salta a piedi pari e con una torsione perfetta del corpo imprime la giusta frustata al pallone per fare gol.

L’azione che porta al calcio d’angolo da cui nasce il terzo gol va segnalata ancora una volta sia per la giocata di cui si è detto (Lozano, esterno alto, entra nel campo per ricevere il pallone, Di Lorenzo, esterno basso, si getta in sovrapposizione esterna per dettare il passaggio), sia per il primo controllo dello stesso Lozano, che spalle all’avversario stoppa il pallone in modo tale da potersi immediatamente girare su se stesso (mandando fuori tempo il suo marcatore) e da potere subito lanciare nello spazio il suo compagno.

Segnatavelo quest’altro leitmotiv, quello del primo controllo orientato con cui pressoché tutti i centrocampisti (Zielinski, Anguissa, Lobotka, Ndombele … ) o gli attaccanti (Politano, Lozano, Raspadori, Kvara …) del Napoli riescono con un solo tocco del pallone (il primo) tanto a mandare a vuoto il pressing avversario, quanto a prepararsi il terreno per la giocata successiva.

Non solo perché, come più volte scritto, se riesce dà di per sé luogo ad una possibile azione da gol, non solo perché spesso riesce proprio grazie alle qualità tecniche dei giocatori azzurri, ma anche e soprattutto perché è un chiaro indice proprio dell’altissimo livello qualitativo della squadra.

°°°°

Ma eccoci, finalmente, alla questione Simeone”.

Rimasi molto colpito, penso come tutti, quando nel vedere il film strepitoso sulla vita di John Nash mi imbattei nella teoria che gli valse il Nobel.

Sulla base di questa teoria – mi perdonino gli esperti se commetto errori nel riferirla od anche se la riferisco con un’approssimazione non degna di ciò di cui discuto – si è finiti in sostanza con il ritenere che, quando si ha a che fare con un contesto che interessa una collettività, o meglio con una competizione che interessi gruppi con obiettivi contrapposti, se si applica una strategia individualistica si ottiene un esito inferiore rispetto a quanto ottenibile nel caso in cui si persegua una strategia che tenga in considerazione quella dell’altro gruppo.

Non si può non interagire con l’altro anche quando è un tuo avversario, in buona sostanza.

Ci ho sempre ricavato l’idea, ma magari sbaglio, che questa impostazione è in grado di tirare fuori il meglio di te, perché la competizione, anche da intendersi come miglioramento qualitativo del contesto in cui sei chiamato ad esprimerti, ti spinge a perfezionarti o per emulazione del più bravo che hai di fianco o per affinare mezzi che ti consentono di battere chi hai di fronte.

Basta averne la convinzione.

Ed eccola qua, la “questione Simeone”.

Stiano tranquilli gli intenditori di calcio dal palato fine: anche a me piacevano Van Basten e Romario, Careca e Bruno Giordano, Batistuta e Raul, anche a me piacciono Mbappe ed Haaland, Messi e Cristiano Ronaldo.

Non ho, non abbiamo bisogno degli intenditori dal palato fine per capire che i fuoriclasse sono questi, e cioè sono altri rispetto a Simeone.

Qui, però, non si discute di doti tecnico/fisiche così eccelse ed eccellenti che da sole potrebbero bastare a vincere una partita o a superare l’avversario a prescindere dalla sua strategia.

Qui si discute di come ognuno di noi possa, dato un suo minimo talento, appoggiarsi agli altri, o meglio ritenere gli altri una fonte di esaltazione, di miglioramento o di perfezionamento dello stesso.

Sia grazie ad un contesto (qualitativo) di squadra che lo sappia esaltare: perché quando hai compagni che sono in grado, con uno sguardo, di capire che stai aggredendo quello spazio, che sono in grado di far partire la palla un attimo prima del tuo scatto (che pure stai per eseguire) senza mandarti in fuorigioco, con la forza e la traiettoria giusta per recapitartela sulla corsa, e quando hai compagni che sono in grado di farlo per 4, 5 o 6 volte a partita, ecco …  allora quel talento innato che hai nell’aggredire lo spazio dietro le spalle dei difensori avversari verrà premiato come si deve.

Sia grazie ad un contesto (qualitativo) di competizione che lo sappia affinare: perché quando sale il livello dei tuoi avversari, non puoi non renderti conto che sei chiamato a far diventare quel talento, in modo ossessivo, una costante abituale, comune, ma allo stesso tempo più perfetta possibile per vincere la competizione.

Si intravedevano queste doti, in Simeone, e se non le avesse avute nemmeno lo avrebbero fatto allenare per più di tre giorni di seguito con gli altri.

In una squadra come il Napoli, però, queste doti diventano un’arma perché sono sfruttate per una quantità di volte e con una qualità di appoggio che ovviamente, nelle squadre dove pur c’era chi riteneva che avesse fallito, non potevano essere garantite.

Il ragazzo ci credeva, ed ha continuato ad affinarle ora dopo ora, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, con l’ossessione dell’attesa, del suo momento, un’ossessione che caratterizza i veri sportivi prima ancora che i calciatori (ho un debole per le ossessioni che caratterizzano le “tensioni al meglio”, molto meno per l’ “allegrismo” come stile di vita, cioè come attesa speculare degli errori altrui).

Studi te stesso, i tuoi limiti ed i tuoi compagni per migliorarti grazie a questi ed al loro livello più alto; studi il livello dell’avversario e ti comporti di conseguenza, perché altrimenti non lo superi.

D’altronde, il calcio è anche questo, è proprio questo.

Sangue e merda, palle sporche e spallate, stop riusciti e stop sbagliati, ma soprattutto continui allenamenti che producono coazioni a ripetere per migliorarsi attraverso i compagni e per capire come (e dove) battere l’avversario di turno.

Uno sport collettivo (studiato) che rimane il prodotto di duelli individuali (effettuati, e come tali vinti o persi).

Rimangono quelli come Simeone, a ricordarcelo, e chi come lui combatte contro i paragoni che gli esteti da bar gli riservano ogni volta che lo si nomina, quelli per cui se non sei (forte come) Ronaldinho o come Messi non sei nessuno.

Quelli della Super Lega, quelli delle partite sul calibro di “Mazinga contro Goldrake”.

Quelli che pensano al calcio-teatro, senza nemmeno sapere che rumore fa il pallone gonfiato troppo duro quando lo impatti durante l’allenamento nell’estrema periferia di provincia, alle nove di sera di un mercoledì di una qualsiasi settimana lavorativa.

Ecco, quando penso a Simeone penso proprio a quello.

Sudore, sangue e merda, fango, sorriso, movimenti ripetuti fino alla noia per renderli una strategia di vittoria dopo aver studiato quelli avversari, ossessione continua di migliorarsi e rispettare le scelte altrui.

Perché, come disse quel vecchio saggio, “Le medaglie le vinci in allenamento. In partita vai solo a ritirarle”.

ilnapolista © riproduzione riservata