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Breznev e Honecker sarebbero orgogliosi degli arbitri italiani (l’ultimo residuo di comunismo reale)

Tutti si accapigliano, tracciano linee, protestano. Loro restano chiusi nel Politburo: “La verità siamo noi”. Procedono per piani quinquennali

Breznev e Honecker sarebbero orgogliosi degli arbitri italiani (l’ultimo residuo di comunismo reale)

Questa mattina, molto presto, in un universo lontano, non sappiamo quanto parallelo ma certamente molto attento a quel che accade sul pianeta terra, si sono incrociati Leonida Breznev ed Erich Honecker. Uno sguardo che comprendeva tutto. Breznev ha fatto per proseguire per non ascoltare quella frase che sapeva sarebbe arrivata. E infatti Honecker non si è trattenuto: «Te l’ho sempre detto, è stato un problema di classe dirigente. Con gli arbitri italiani il comunismo non sarebbe mai crollato». Leonida si è accarezzato i sopracciglioni ed è passato oltre. Le notizie del conflitto non promettono nulla di buono, non vuole compromettere ulteriormente il suo apparato epatico.

La classe arbitrale italiana, l’organizzazione della classe arbitrale italiana è un vero e proprio cult per i comunisti che abitano quest’altro universo. Li osservano commossi. Spesso applaudono lungamente nella sala tv. Sono nati veri e propri fan club. Quello con più iscritti è intitolato: “La verità siamo noi” e ha come foto un raduno arbitrale italiano.

Nel 2022, nonostante il Var, gli arbitri italiani resistono strenuamente. Loro spiegazioni non ne danno. Né su Twitter né su WhatsApp. Figuriamoci nel post-partita.

Una volta insediato all’Aia – associazione italiana arbitri – Alfredo Trentalange si pose come il Gorbaciov dei fischietti. Annunciò la perestrojka, provocando profondo malumore nell’universo lontano. Finì con Orsato mandato in tv a dire che non aveva visto il fallo di Pjanic perché era troppo vicino. E nella sala tv fu uno scroscio di applausi. Andropov pianse di commozione per tre giorni e per tre notti. «Ve l’avevo detto che non avrebbero tradito», disse tirando su il naso e asciugandosi le lacrime.

A fine 2021 la Gazzetta ha annunciato che gli arbitri si sarebbero organizzati con un canale tematico per spiegare gli episodi più discussi. Queste furono le parole di Trentalange:

«A noi piacerebbe avere uno spazio, un canale di comunicazione che dobbiamo aprire per poter dare chiavi di lettura tecniche: credo sia per il bene del calcio. Con la Federazione ci stiamo pensando, ci stiamo lavorando e attivando, c’è un lavoro intenso in questo senso».

Il quotidiano definì il 2022 “l’anno della svolta, dopo che il primo passo era stato fatto a Lissone quando sono stati aperti gli audio tra arbitro e Var per un ristretto gruppo di giornalisti mettendo le basi di un esperimento volto alla chiarezza e alla trasparenza. da gennaio si farebbe dunque un ulteriore passo in avanti, questa volta anche verso il pubblico”.

L’idea – ancora la Gazzetta –

era quella di un paio di appuntamenti al mese – anziché dopo ogni giornata – ma c’è una riflessione in corso per il fatto che episodi commentati a due settimane di distanza potrebbero perdere di interesse.

Noi proporremmo una revisione dopo 25 anni. Magari la prima puntata può essere dedicata al gol di Turone. Ma non potranno mai essere commentati episodi avvenuti meno di 25 anni fa. La storia, com’è noto, va fatta riposare.

Ad agosto, Trentalange è tornato sull’argomento ma in termini vaghi, senza accenni a canali tematici:

È giusto spiegare le nostre decisioni, ma non vorremmo che questo si traducesse nella necessità di giustificarci come se fossimo un danno per il calcio. Vorremmo infatti più cultura sportiva ed una maggiore conoscenza del regolamento.

“Altro che Perestrojka”, hanno commentato così nell’universo proprio nei giorni in cui hanno accolto con non poca diffidenza l’ex compagno Gorbaciov.

E mentre in tv si accapigliano alla ricerca di immagini, allenatori e dirigenti di varie squadre protestano per decisioni apparentemente inspiegabili, gli arbitri italiani se ne stanno sereni nel loro Politburo. Incuranti di banalità che vanno sotto il nome di attualità. “La storia va studiata nel lungo periodo. Noi procediamo per piani quinquennali. Ne riparliamo nel 2027”.

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