C’è una distanza abissale tra la realtà del club di De Laurentiis e la narrazione che lo accompagna. A lui va data la cittadinanza onoraria, non a Mertens
La notizia non è il mercato del Napoli. La notizia è la sorpresa che accompagna il mercato del Napoli. Un club che da dodici anni è stabilmente ai vertici del calcio italiano, che dal 2011 si è piazzato quattro volte secondo e quattro terzo. E che incredibilmente – è questo il fenomeno da indagare – viene perennemente raccontato come se fosse un chioschetto che da un giorno all’altro si è improvvisato azienda.
Il Napoli vale mille Atalanta. Eppure è raro imbattersi in analisi che diano il giusto merito alla conduzione aziendale di De Laurentiis. La notizia è lì, così evidente: il Napoli è nettamente più performante di Napoli. Non c’è proprio paragone. Sono due realtà che per fortuna del Napoli non hanno nulla in comune. Se non fossimo la città in cui i Cinque Stelle hanno ottenuto il 50%, e quindi se non avessimo sindaci populisti, la cittadinanza onoraria da tempo sarebbe stata concessa al presidente del Napoli. Bisogna comprenderlo: Napoli è probabilmente l’unica città al mondo in cui i cosiddetti professionisti (parliamo di ceto delle professioni) e i tifosi organizzati esprimono i medesimi concetti culturali. Lo fanno con sfumature linguistiche diverse ma i principi sono gli stessi. Per cui è ovvio che la autoproclamatasi giunta del sapere (quella del sindaco Manfredi) metta in piedi la pagliacciata della cittadinanza onoraria a Ciro Mertens.
Da noi De Laurentiis è il pappone, il Napoli è la bancarella del torrone. E quest’estate abbiamo registrato l’ultima espressione del disagio con la nascita del movimento A16 che invita De Laurentiis ad andare a Bari. Perché per buona parte dei tifosi del Napoli, De Laurentiis non è l’uomo che ha riportato il Napoli al vertice del calcio italiano. No, De Laurentiis è un tappo per il club. Senza di lui, ci sarebbe la fila di sceicchi e fondi finanziari che se ne fregherebbero di speculare ma preferirebbero versare centinaia di milioni a fondo perduto per vedere i napoletani festeggiare.
Ovviamente se questa è la situazione a Napoli, figuriamoci nel resto d’Italia. De Laurentiis è sempre tratteggiato come un guitto. Il suo Napoli è un modello di efficienza calcistica ed economica, eppure balza alle cronache quasi esclusivamente per i suoi modi poco urbani. La Juve resiste in qualche modo ai vertici solo perché la casa madre ogni anno versa nelle casse e i suoi sono bilanci-gruviera. L’Inter è ai piedi di Pilato ed è a malapena sorretta da una stampa compiacente. Il Milan è l’unico club che ha seguito un percorso europeo e infatti i risultati si vedono. L’Atalanta è stata costretta a vendere e a ridimensionarsi. La Roma ha scelto una strategia italiana: ha infarcito la squadra di roboanti parametro zero e ha puntato su un allenatore che è un numero uno assoluto e da solo regge la scena contro tutti. I club di Lotito, Cairo, Commisso sono un gradino sotto.
Per cui, tornando all’inizio, non comprendiamo lo stupore per il mercato del Napoli. De Laurentiis, stavolta con Giuntoli, sta ripetendo quel che fece nel 2013 quando con Benitez fronteggiò la cessione di Cavani con una serie di acquisti che costituirono la spina dorsale del Napoli per dieci anni. De Laurentiis – lo abbiamo ripetuto fino alla noia – ha solo commesso l’errore di aver ritardato questo rinnovamento di quattro anni. Meglio tardi che mai. Ma non si capisce per quale motivo avrebbe dovuto vendere senza acquistare calciatori potenzialmente di valore. Nel calcio una sola cosa non manca: la manodopera anche qualificata.
Il Napoli ha realizzato un capolavoro. Più che nel 2013, perché i prezzi sono lievitati. Ha lasciato andar via giocatori ormai in parabola discendente finiti in club di secondo e terzo piano (con le eccezioni di Koulibaly e forse Fabian) e ha preso calciatori potenzialmente in ascesa.
La grandiosità dell’operazione è stata acquistare con un saldo passivo di meno di 40 milioni nel contempo risparmiarne più di 30 di ingaggio. De Laurentiis e Giuntoli hanno rifatto la squadra e hanno portato a casa uomini importanti anche se poco conosciuti. Kvara (a soli 10 milioni), Kim, Olivera, Simeone, Ndombele, Raspadori, Sirigu, Ostigard. Sono tutti colpi importanti, chi più chi meno.
Dal punto di vista politico l’acquisto che colpisce di più è quello del 22enne Raspadori. Pagato più del suo effettivo valore, parliamo del giocatore oggi considerato tra le più importanti promesse del calcio italiano. Che ha fortemente voluto Napoli. È stato grazie alla sua impuntatura che il Napoli ha chiuso l’affare. Il Sassuolo era partito dalla richiesta di 45 milioni e ha provato fino alla fine a convincerlo a restare.
Il Napoli, come è ovvio che sia, è una meta ambita. È una piazza importante, molto importante. Costretta quotidianamente a fare i conti col fuoco amico, con gli aspiranti Nigel Farage locali, con un tessuto inesistente di classe dirigente. Ma il club è solido, nonostante i fisiologici errori commessi, in un caso madornali. E stavolta – noi che lo abbiamo più volte bastonato, ovviamente, per il cambio Ancelotti-Gattuso – una menzione speciale va a Cristiano Giuntoli direttore sportivo che, anche grazie ai suoi collaboratori (è un merito circondarsi di gente valida), ha mostrato di avere conoscenze a 360 gradi del mercato calcistico. Poi, ovviamente, parlerà il campo. Magari ci sarà anche qualche cessione. Ma se a Bari finissero un bel po’ di tifosi (eccellenti e non), a Napoli si starebbe decisamente meglio e si avrebbero più chance di vincere.