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Si può essere tifosi del Napoli e non piangere per Mertens nemmeno un po’

Addio agli ammutinati del Bounty. Che nostalgia degli anni Ottanta quando l’oleografia faceva orrore a tanti napoletani e si era divinità anche chiamando le figlie Dalma Nerea

Si può essere tifosi del Napoli e non piangere per Mertens nemmeno un po’

Sono Massimiliano Gallo, ho 52 anni, ricordo anche il Napoli-Ternana 7-1 (fu scelta come partita delle 19!) e non verso una lacrima per Mertens, nemmeno col collirio. (Lo abbiamo scritto anche qui, un po’ di ripetiamo ma è doveroso).

L’inizio da alcolisti anonimi è doveroso. Napoli sta dando prova dell’ennesimo delirio più o meno collettivo, la solita performance che dovrebbe portare la città a essere capitale mondiale della psichiatria. Ormai ci siamo abituati. E sarà sempre peggio: per fare notizia bisogna giocoforza ogni volta esagerare un po’ in più. Pensiamo ai tifosi del Bayern che hanno visto partire Lewandowski e se lo vedono sostituire col 17enne francese del Rennes Mathys Tel. A Napoli sarebbero arrivati i caschi blu.

Eppure nessun dolore. “Non sento niente no, nessun dolore”. E soprattutto protesto vibratamente contro questo concentrato di luogocomunismo che vuole Mertens simbolo di Napoli, contro questa presunta unione simbiotica che tanto piace agli osservatori lontani. Dimentichi che si può aver rappresentato Napoli in eterno pur chiamando la figlia Dalma Nerea (e non Assuntina). Meno pittoresco. Molto più vero. E vincente. Perché Diego – è bene ricordarlo col sangue – ha sempre attraversato Napoli con la propria personalità, non si è mai piegato a questa grottesca visione oleografica. Visione di cui peraltro negli anni Ottanta Napoli si vergognava: allora le élite cittadine – che erano élite per davvero – non avevano identità di vedute con i lazzari.

Purtroppo non si può parlare di Mertens solo in termini calcistici. È stato forte, senza dubbio. Mi ha affascinato soprattutto l’ostinazione, la capacità di non arrendersi nei lunghi, lunghissimi anni in cui è stato fondamentalmente una riserva. Si comportava da nordico. Quando veniva schierato, faceva sempre il suo, dava il massimo. Creava, segnava. Anche allora gol spettacolari. Molto. Basterebbe andare a riguardare il suo primo in Serie A, a Firenze. Una serpentina alla Romario. O il gol alla Juventus a Napoli. Ma restavano meno impressi. Mancava il Sichozell dell’identitarismo calcistico: una delle più grande stronzate mai sentite da quando l’uomo inventò il cavallo.

Quindi sì, Mertens è forte. Lo è stato. È stato fortissimo per un periodo di tempo. Soprattutto l’anno in cui si ritrovò centravanti per disperazione, per assoluta mancanza di alternative. Parlare di intuizione dell’allenatore, è roba buona per gli identitari. Ha continuato a segnare gol meravigliosi. Qualcuno, per fortuna, anche bruttino. Poi, però, le Fiandre si sono via via stinte. Il Brabante Fiammingo si è attenuato sempre più, ricoperto da questo processo di presunta napoletanizzazione (che oggi è intesa sempre e solo in senso oleografico, diremmo persino caricaturale) tanto di moda. Che ha impedito a Dries di venir fuori con la sua intelligenza, col suo vissuto. Lo hanno travestito da scugnizzo contemporaneo e lui è stato al gioco. Ha finito col diventare un rappresentante politico. Fuori dal campo il suo peso è aumentato mentre l’inesorabile scorrere del tempo lo ha reso un calciatore fisiologicamente meno continuo. È il motivo per cui sarebbe stato nocivo proseguire con lui. De Laurentiis avrebbe dovuto gridarlo ai quattro venti invece di aggrapparsi al solito teatrino dei soldi.

Se decidi di tagliare col passato, di far fuori – con tre anni di ritardo – gli ammutinati del Bounty, beh Mertens non puoi tenertelo. Lui nello spogliatoio con la borsa in mano mentre saluta e va via (scena che ormai compare anche nelle carte processuali) dopo Napoli-Salisburgo è un’immagine nitida al pari del gol a pallonetto alla Lazio, o di quello al Torino, della perla di Liverpool, e di tante altre. Se De Laurentiis avesse avuto coraggio tre anni fa, ci saremmo risparmiati un anno e mezzo di veleno, avremmo avuto Ibrahimovic e l’allenatore che tu sai (cit.).

Per chi ha una visione politica del Napoli, Mertens proprio non mancherà. E non mancherà perché in queste condizioni sarebbe stato un tappo alla crescita del nuovo Napoli. Sarebbe stato bello se fosse emerso il fiammingo. Ma di un altro rappresentante della napoletaneria proprio non sappiamo che cosa farcene.

Infine un’ultima osservazione: non avremmo scommesso un euro sulla coerenza di De Laurentiis. Eravamo certi che – come al solito – avrebbe ceduto al populismo. Chapeau. Non era facile visto che Napoli è ormai una massa di populismo senza – ahinoi – alcuna eccezione. E invece ci ha stupiti.

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